«Il metodo Mitridate va semplicemente cancellato dal nostro comune agire quotidiano. È l’operazione preliminare che condiziona il resto». Alberto Asor Rosa ha perfettamente ragione a concludere con queste parole l’articolo dedicato alla progressiva assuefazione anche nei confronti di «un vasto ed articolato sistema criminale» tanto nella cosiddetta società civile quanto nel complesso del ceto politico. Altrettanta ragione nel considerare «compito politico» la costruzione di un vasto ed efficace sistema di anticorpi alla mitriditizzazione.
L’ «operazione preliminare», però, è tanto necessaria quanto difficile proprio perché non è vero che tale processo sia avvenuto in assenza di responsabilità, anzi di pesanti responsabilità politiche. Responsabilità politiche, appunto, visto che, nota opportunamente ancora Asor Rosa: «La “questione morale” non è qualcosa di separato dall’agire politico e civile: ne costituisce invece parte integrante, il fondamento costitutivo».
Si capisce che in un paese come l’Italia che ha dovuto convivere con innumerevoli «questioni morali» fin dal suo primo configurarsi come Stato unitario, in un paese in cui gli intrecci tra affari e politica nell’indifferenza della legalità sono una costante della sua storia, la tentazione di mettere l’accento sulle «circostanze particolari» giustificative di comportamenti illegali o comunque censurabili sono irresistibili.
Se è vero che «questioni morali» ad ogni livello sono strettamente intessute con la trama della storia dello Stato italiano tanto che possono diventare oggetto di studi sull’identità, è anche vero che non sempre il problema si è presentato con la medesima gravità. Ci sono stati periodi, in genere coincidenti con quelli a più alta ed intensa tensione politica partecipativa, in cui tali fenomeni sono stati parzialmente ridotti alla loro dimensione di patologia, sia pure piuttosto estesa, ma che non sono stati considerati fisiologici.
La tradizione dei socialismi è stata essenziale nel tracciare limiti di demarcazione tra patologico e fisiologico. Non da sola certo insieme ad altre con cui ha avuto in comune, però, un progetto di trasformazione profonda, strutturale, di economia e società. Un progetto di trasformazione che necessariamente comportava la pratica di una adeguata forma politica.
Non a caso un liberale come Piero Gobetti poteva affermare che «i lamenti sulle degenerazioni morali non intendono che fuori della lotta politica manca il criterio del rinnovamento etico». Non a caso, dunque, il salto di qualità nella progressiva mitridatizzazione del paese coincide con il salto di qualità di quella fase termidoriana che ha modificato profondamente il panorama politico italiano. Questa, in fondo, è l’essenza di ogni termidoro: la partecipazione al processo di «normalizzazione» degli «eccessi di democrazia» della parte maggioritaria di quelle forze politiche e culturali la cui funzione storica si era legata a salti di qualità di segno ben diverso. Ai salti di qualità del processo democratico, democrazia economica inclusa.
«Pochi giorni dopo Termidoro – scrive Michelet nella sua Storia della Rivoluzione francese – un uomo che vive ancora e che aveva allora dieci anni fu condotto dai genitori a teatro, e allora ammirò la lunga fila di vetture lucenti, che per la prima volta lo colpivano. Uomini in camiciotto e berretto dicevano agli spettatori che uscivano: “Volete una vettura padrone?” Il ragazzo non capiva quelle parole nuove. Se le fece spiegare, e gli dissero soltanto che c’era stato un gran cambiamento dovuto alla morte di Robespierre».
Il grande cambiamento dovuto alla morte di Robespierre consisteva nella fine della fase egalitaria della rivoluzione. Ciò non poteva non avere effetti rilevantissimi sul complesso della società provocando altri mutamenti profondi: di costume, di morale, di riferimenti culturali. Tutti elementi essenziali per l’affermarsi del clima che rese possibile il prosperare dei Tallien, dei Barras, dei Fréron e delle molte Madonne del Termidoro. Potremmo esercitarci, con amaro divertimento, ad individuare gli odierni Barras e le odierne Madonne del Termidoro. Il panorama è assai vasto e le similitudini impressionanti.
In fondo il problema della «diversità» è tutto qui. Il prius della diversità di Enrico Berlinguer non stava nell’etica, stava in una concezione della politica e degli obbiettivi della politica. Questo tipo di diversità non l’hanno inventato i comunisti. I comunisti l’hanno ereditata in quanto connaturata al progetto socialista e specificamente teorizzata nel processo di formazione di movimenti e partiti a carattere socialista.
Sul problema della «diversità» l’insistenza di Filippo Turati e Anna Kuliscioff è continua e non solo negli anni Novanta dell’Ottocento, cioè nel momento fondante del Partito socialista italiano, ma anche nel pieno di quella battaglia politica in cui si troverà ad assumere il ruolo di simbolo primo del «riformismo». Nel 1911 non esiteranno a considerare corresponsabili del fallimento di un serio progetto di politica redistributiva, del fallimento del progetto di riforma tributaria, tanto Bonomi che Graziadei con la motivazione che i due «riformisti» consideravano «i fenomeni economici dal punto di vista dell’economia puramente borghese». «Uno – sottolineava la Kuliscioff – ha tutte le timide prudenze per portare uno squilibrio nelle finanze dello Stato, l’altro è un semplice liberista». Insomma, a parere di Turati/Kuliscioff, avevano rinunciato alla «diversità socialista». E Turati/Kuliscioff mettevano l’accento sui modi di pensare il rapporto economia-società come elementi essenziali della morale politica.
Cose di ieri o di oggi? Nel corso degli anni Novanta del Novecento, in particolare tra il 1992 ed il 1994, avviene il salto di qualità, il mutamento di paradigma, dei riferimenti culturali e politici da parte della maggioranza degli eredi della storia del movimento operaio.
Un intellettuale «organico» a quel rapido processo, Giuseppe Vacca, usa tanto l’espressione «nuovo riformismo» che «salto di paradigma». Il salto di «paradigma» consiste, Vacca lo dice con chiarezza, nel «superamento dell’economia mista», nel superamento del «vecchio modello socialdemocratico», nello smantellamento del «vecchio compromesso sociale», nell’impostare la riforma del capitalismo italiano come «rivoluzione liberale». Una vera «pulizia teorica» come ebbe a definirla Michele Salvati, con esatta percezione della realtà. Viene improvvisamente a crollare (magari perché già lesionato, ma questo è altro problema) un edificio fatto di cultura, comportamenti politici, comportamenti individuali coerenti con quella cultura politica, di un insieme, insomma, strutturalmente contrario alle tendenze mitridatizzanti tipiche della tradizione italiana.
L’etica, il sistema di valori a cui facciamo riferimento è anche conseguenza, e non marginalmente, della concezione che abbiamo dei rapporti tra gli uomini. Non dei rapporti individuali tra gli uomini, ma dei rapporti sociali mediati dall’economia. Se consideriamo il mercato come l’ottimo regolatore di questi rapporti, ebbene il valore più conseguente non può non essere che il «valore di scambio». In tale ottica anche la sfera politica diventa la sfera del mercato politico, le azioni politiche diventano oggetto di scambio, sottoposte all’etica dello scambio di un «imprenditore politico» che, da noi, è la completa negazione dell’ideal-tipo delineato da Schumpeter.
Essere avidi senza sentirsi in colpa perché il mercato lo vuole. Ci sarà pure un rapporto tra Blair che costruisce il New Labour, Schroeder che costruisce la Neue Mitte e le scelte dell’uno per un incarico milionario alla Banca Morgan, e dell’altro per un incarico, sempre milionario, alla Gazprom? Passi altamente coraggiosi, come li definisce la «comunità degli affari».
Nel contesto italiano, nella tradizione della commistione tra affari e politica, si aprono spazi immensi per la marcia inarrestabile dei manipoli di Mitridate. E gli appelli alle risorse dell’etica sono nel contempo inutili e fuorvianti. Per lo meno quando con Mitridate si governa e ci si appresta, addirittura, a trasformarlo in padre costituente. Costituente di mitridatizzazione, appunto.