I rivoluzionari domestici
Architettura Un libro di Gabriele Mastrigli dal titolo «Superstudio, la vita segreta del Monumento Continuo», uscito per Quodlibet, ripercorre la storia (e gli ostracismi subìti) del colletivo del design radicale
Architettura Un libro di Gabriele Mastrigli dal titolo «Superstudio, la vita segreta del Monumento Continuo», uscito per Quodlibet, ripercorre la storia (e gli ostracismi subìti) del colletivo del design radicale
Si è scritto e detto molto sull’architettura radicale e il radical design italiano, ma l’interesse editoriale permane. Le ragioni, forse, sono tutte da ricercare dentro la crisi disciplinare dell’architettura, ossia nella sua condizione purtroppo subalterna alle ragioni neoliberiste del mercato che ne hanno condizionato i valori e minato i linguaggi. Così segnare le differenze, marcare le distanze è divenuta una necessità: da qui l’urgenza delle verifiche storiografiche, il lavoro critico sulla memoria e la raccolta di testimonianze.
Gabriele Mastrigli ne fornisce una prova con le «conversazioni» da lui avute con i protagonisti del gruppo Superstudio: Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo di Francia e Gian Piero Frassinelli, tra i primi e più noti dei gruppi «radicali». Pubblicate con il titolo Superstudio, La vita segreta del Monumento Continuo (Quodlibet, pp.186, euro 17), le interviste sono un’onesta riflessione su una singolare stagione del nostro design e del dibattito teorico sull’architettura e la città che divampò negli anni Sessanta.
Il lettore può trovare conferma di quanto distanti appaiano oggi, più di ieri, le visioni ribelli di quel gruppo di «rivoluzionari domestici», come li ha definiti De Fusco. Ci si accorgerà che solo l’arte contemporanea può trovarvi ancora ispirazione e collegamenti – lo dimostra l’attuale mostra al Pac di Milano – difficilmente il progetto d’architettura, anche se Mastrigli l’auspica attraverso «un nuovo spazio di interpretazione» del lavoro del gruppo fiorentino ed è per questo che ha intrapreso la cura dei loro scritti teorici di prossima pubblicazione.
Stiamo, però, al volume in questione. Natalini ci ricorda che Giovanni Klaus Koening, il celebre storico dell’architettura, paragonò «Monumento Continuo» – la megastruttura inglobante ogni parte del pianeta con la sua immagine monolitica e reticolare – alla «Casa del Popolo» del dramma allegorico in musica Der Weltbaumeister di Bruno Taut. In entrambi i casi, infatti, si assisterebbe, attraverso tavole disegnate, alla «sperimentazione di uno stato di crisi».
Nello storyboard di Superstudio, però, non c’è alcun segno di gioiosa catarsi come ritroviamo nell’architetto tedesco; piuttosto, come scrisse Tafuri, c’è un paesaggio trascritto con un’ironia «che non fa più ridere». In un paio di passaggi spunta il difficile rapporto che il gruppo fiorentino ebbe con la critica di sinistra, in particolare proprio con Tafuri. Toraldo di Francia parla della «sconfessione» espressa dallo storico romano nei loro confronti con il suo saggio Progetto e utopia (1973), certamente un «ritorno all’ordine» nella direzione indicata da Aldo Rossi con le sue tesi esposte con L’architettura della città (1966). La città rossiana «era esattamente il contrario – afferma Toraldo di Francia – della città che noi avevamo ideato, progettato e disegnato fino a quel momento».
I giovani architetti di Superstudio furono così «vittime di un radicale ostracismo», come riconferma più avanti nel volume Frassinelli, nonostante il riconoscimento internazionale avuto con la partecipazione alla mostra newyorchese della MoMA Italy. The New Domestic Landscape (’72), oltre a quello tributatogli qualche anno prima dalla rivista Domus di Gio Ponti. Con il trascorrere degli anni l’«antiprogettazione» radicale, però, sembra sopravvivere all’oblio diversamente dall’architettura della «Tendenza», ormai storicizzata come si è fatto di quella di Superstudio ma rispetto ai «labirinti di immagini» di quest’ultima altrettanto inutilizzabile per superare le contraddizioni del presente e prefigurare un qualsiasi cambiamento.
Può anche essere vero – come afferma Frassinelli – che l’eredità di Superstudio «non sia finita in mano a dei dubbi falsari ma a degli uomini che guardano a noi con autonomia e interesse». Tra questi c’è Rem Koolhaas giunto a Firenze per conoscere il gruppo nel 1970. È grazie all’architetto olandese che Superstudio entra in contatto con Oswald Mathias Ungers: da allora «Ungers lavorò sul tema – ricorda Natalini – del quadrato, realizzando dei progetti molto belli e di grande successo», tema «già scartato» dai fiorentini per altre ricerche.
È probabile che l’interesse di Koolhaas per la grande dimensione dell’architettura – Bigness è il titolo di un suo celebre scritto – abbia avuto origine in anni giovanili anche se diversi sono i riferimenti da considerare nello stesso periodo, ad esempio: i Metabolisti e Louis Kahn. È significativo, però, che si debba a Koolhaas, in qualità di direttore della XIV Biennale Architettura di Venezia, se due installazioni, La coscienza di Zeno e La moglie di Lot (’78) sono ricomparse nel 2014 all’attenzione del pubblico.
È stato Mastrigli a ricostruire quest’ultima perché andata persa: un ulteriore contributo oltre le «conversazioni» a mantenere vivo l’interesse per Superstudio.
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