Vorrei provare a dare una definizione politica del “rischio calcolato” in base al quale, come è noto, il governo ha deciso di dare inizio, nella situazione epidemiologica data, alle riaperture.
Parliamo del maggior numero di contagi, di ricoveri e quindi di morti, che possono essere causati da una riapertura probabilmente intempestiva delle attività economiche, decisa da un governo che, sulla base di forte pressioni della piazza e della destra, ha deciso per ragioni di consenso di ignorare le evidenze scientifiche disponibili.

Se i tempi delle riaperture non sono più decisi tenendo conto delle evidenze scientifiche, allora si può dire che il “rischio ragionato” altro non è che il tributo in termini di vite umane che il governo ha deciso di pagare alle ragioni elettorali della destra.

Non avendo ancora raggiunto una copertura vaccinale tale da giustificare nessun tipo di riapertura, siamo di fronte a una scelta azzardata e pericolosa che il paese tutto potrebbe pagare a caro prezzo.
Quindi è la scelta di Draghi di correre questo rischio, indipendentemente da come poi le cose andranno effettivamente, che stupisce, rivelando un premier molto meno pragmatico di quello che si dice e soprattutto meno politico delle sue reali possibilità.

Un politico accorto e saggio, un rischio del genere lo avrebbe evitato con tutti i mezzi, anche scontrandosi se necessario con le forti pressioni politiche interne alla sua compagine di governo. Nessuno, a parte la destra, obbliga il presidente del consiglio a discostarsi dalle evidenze scientifiche disponibili. Il governo avrebbe dovuto attendere di raggiungere una copertura vaccinale accettabile, quindi prendere tempo.

Se il rischio che si corre è tanto alto e se è evitabile, perché si possono fare altre cose, allora perché correrlo? E perché le altre cose che avremmo potuto fare, per esempio sostenere di più le attività economiche in sofferenza, non le abbiamo fatte?

È del tutto evidente che se la gente protesta nelle piazze, vuol dire che il sistema dei sostegni economici non ha funzionato. Ma risulta del tutto discutibile che per rispondere ai sostegni economici che non si è riusciti a mettere in campo, si debba rischiare di rimettere in moto la pandemia, in piena campagna vaccinale e per giunta alla soglia dell’estate. Con una destra che sta cavalcando senza scrupoli l’esasperazione sociale, con un ministro della salute in difficoltà, e con il Cts a sostegno delle scelte governative, il presidente del consiglio ha deciso di fare un compromesso (così lo ha definito il ministro Speranza in televisione).

C’è da chiedersi che razza di compromesso è mai quello con Salvini e con la piazza visto l’alto prezzo che potrebbe costare alle persone più deboli e al paese per intero. La decisione di accelerare le aperture in una situazione di transizione così delicata proprio non regge.

Oltretutto, il compromesso dimostra come la figura di Draghi, supervalutata e osannata in tutto il mondo, in realtà riveli come di questa pandemia il capo del governo abbia capito assai poco. Dimostrando di non avere idea di cosa è capace un virus avendo a disposizione un pugno di giorni per potenziarsi senza sbarramenti vaccinali. Ha idea cosa potrebbe accadere al sistema vaccinale oggi disponibile se la pandemia riprendesse vigore e si protraesse nel tempo, nel caso in cui il virus mutasse al punto da rendere necessario mettersi lavorare per produrre nuovi vaccini?

C’è solo da confidare nella buona sorte, cioè sperare che, nonostante Draghi, la situazione regga e che non si comprometta il cruciale lavoro di vaccinazione in corso.