Alle ore 8 di oggi, dovrebbero essere sbarcati al porto di Salerno i rifiuti speciali campani al centro di un vero e proprio scandalo internazionale. Spediti in Tunisia con il via libera dei tecnici della Regione Campania dall’azienda privata salernitana Sviluppo Risorse ambientali srl (Sra), con documentazione secondo la magistratura tunisina in parte poi rivelatasi falsa, dovevano essere trattati e smaltiti in un impianto risultato inadeguato (se non del tutto inesistente per come presentato).

Da domenica sera, i container rimpatriati con quei rifiuti si trovano a bordo della nave battente bandiera turca Martine A, della compagnia di navigazione Arkas, ancorata in rada a Salerno, da dove la spazzatura era partita, con diversi carichi, tra maggio e luglio del 2020.

 

Il primo problema è che a bordo di quel vascello c’è un container in più del previsto. A dirlo con una comunicazione «urgentissima» inviata martedì sera a mezzo posta elettronica certificata (Pec) alle autorità competenti (Dogane, Capitaneria di Porto, Autorità Portuale, Guardia di finanza, carabinieri del Nucleo operativo ecologico e alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e sugli illeciti ambientali ad esse correlati), di cui è entrato in possesso il manifesto, è Antonio Cancro, amministratore unico della società Sviluppo Risorse ambientali srl (sotto inchiesta da parte della magistratura italiana). In quella missiva il dirigente riporta di aver ricevuto domenica sera una Pec dalla dirigente della Regione Campania Liliana Monaco con la quale gli veniva comunicato che a bordo della nave sono presenti 213 container: «L’ordine del rimpatrio riguardava esclusivamente n. 212 containers contenenti il rifiuto Cer 19.12.12. (codice attribuito ai solidi urbani trattati meccanicamente, ndr) non pericoloso, ma nostro malgrado apprendiamo che la Regione ha rimpatriato, in barba a tutte le convenzioni internazionali e le leggi, un container carico di rifiuti che non andava rimpatriato, inoltre tale rifiuto viene definito dalla Regione “combusto” perché sarebbe stato caricato (senza preventiva analisi di caratterizzazione) da un opificio andato a fuoco». Insomma, sempre a suo dire, se sulla carta quelli partiti da Salerno erano rifiuti speciali né pericolosi, né tossici, ora ci è tornato indietro anche un container con i rifiuti divorati dalle fiamme il 29 dicembre in Tunisia, il giorno dopo la visita a Suosse del nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Questo giornale si era già occupato a più riprese della vicenda (https://cms.ilmanifesto.it/il-paese-di-annibale-non-e-la-discarica-dellitalia/ e https://cms.ilmanifesto.it/di-maio-a-tunisi-rifiuti-e-crisi-migratoria-nei-colloqui-con-saied/) finita giovedì davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie, che ha già portato ad arresti eccellenti (tra i quali l’ex ministro dell’Ambiente tunisino Mustapha Aroui) e inchieste della magistratura (indagano le Direzioni distrettuali antimafia di Salerno e Potenza).

Fatto sta che quei rifiuti ora sono tornati al punto di partenza e sulla base di una delibera della giunta regionale del 15 febbraio e di un successivo schema di accordo con la Provincia ed altri enti vanno trasportati e temporaneamente stoccati (al massimo 6 mesi dice la Regione) nella caserma militare di Persano, nella Piana del Sele, distante una cinquantina di chilometri e reggia di caccia di Re Carlo Borbone. Il tutto in attesa di decidere dove smaltirli, cosa che avverrà quasi sicuramente fuori Regione, visto che un impianto adatto in Campania attualmente non ci sarebbe. Ma prima di tutto, quei rifiuti andranno caratterizzati, per capire cosa realmente c’è dentro quei container.

Ambientalisti ed enti locali, ovviamente non li vogliono. Franco Mennella, sindaco di Serre sotto cui ricade la caserma di Persano, lunedì scorso ha accolto in consiglio comunale i primi cittadini della Piana del Sele e degli Alburni in rappresentanza di 130mila cittadini per opporsi con ogni mezzo all’arrivo di quei container sul proprio territorio: oltre a migliaia di roulotte ammassate dal terremoto in Irpinia del 1980, in quella base dal 2008 ci sono ancora 38mila tonnellate di ecoballe tritovagliate negli impianti campani durante le varie emergenze dei propri rifiuti.

Quelli che 15 anni dopo, ancora oggi la Regione non è in grado di gestire in autonomia. Molto probabilmente, quei rifiuti in Tunisia non ci dovevano proprio arrivare. «Basta vedere le carte per capire che qualcosa non andava fin dall’inizio», spiega al manifesto, Stefano Vignaroli (Movimento 5 Stelle), presidente della commissione ecomafie che su questo caso ha avuto in audizione giovedì l’assessore all’Ambiente della Regione Campania, Fulvio Bonavitacola, accompagnato da un dirigente e un funzionario della sua struttura. «Nemmeno in Italia esistono impianti industriali in grado di trattare su larga scala quel tipo di rifiuto – continua il parlamentare – perché è un procedimento costoso e complesso. Ci risulta quindi difficile pensare che la Tunisia riesca a recuperare quel rifiuto all’80%».

Gli fa eco la presidente di Legambiente Campania, Mariateresa Imparato: «È l’ennesimo capitolo dell’emergenza rifiuti campana. Continuiamo a smaltire i rifiuti fuori regione, con rotte verso l’Africa, da ben 25 anni denunciamo che dietro questo turismo della spazzatura operano le ecomafie: questa vicenda tunisina puzza più dei rifiuti contenuti in quei container».