Superare i capilista bloccati. Lo ha chiesto la minoranza Pd ieri sera, dopo aver raccolto circa sessanta firme di deputati, nell’assemblea del gruppo alla camera. La maggioranza, con il ministro Franceschini, ha chiuso la porta.
La Corte costituzionale, nella sentenza di gennaio con la quale ha decapitato l’Italicum, ha salvato i capilista e ha mantenuto anche la possibilità che queste «teste di serie» possano candidarsi in più collegi, fino a dieci. Ma per tenere in piedi questa che è la caratteristica dell’Italicum alla quale i capi partito più tengono – perché consegna loro la possibilità di nominare direttamente gran parte dei deputati – i giudici della Consulta hanno dovuto ripiegare su un meccanismo di selezione assai improbabile: il sorteggio. Dunque capilista e pluri candidature sono due aspetti sui quali il parlamento dovrà sicuramente tornare, nella sua opera di «armonizzazione» dei due sistemi elettorali diversi attualmente previsti per camera e senato.

L’assemblea di ieri sera dei deputati del Partito democratico, rinviata la scorsa settimana quando Matteo Renzi ha capito di aver irritato assai il gruppo con le sue insinuazioni sulla corsa al vitalizio, si è tenuta ieri sera. Senza il segretario Pd, in trasferta a Milano. È stata aperta dal capogruppo Ettore Rosato che ha meccanicamente riproposto la formula approvata all’unanimità dall’assemblea nazionale del Pd di dicembre: il Mattarellum. «Ora si avvia il confronto con le altre forze politiche e noi non mettiamo paletti», ha detto. In realtà il confronto stenta a partire. Oggi, dopo diversi rinvii, l’ufficio di presidenza della prima commissione alla camera proverà a stilare un calendario dei lavori. Non sarà semplice perché c’è una fila di decreti in scadenza che hanno la precedenza in commissione. È proprio l’azione del governo, dunque, a rallentare la discussione sulla legge elettorale, il governo che avrebbe dovuto «facilitare» un’intesa. All’ordine del giorno della commissione ci sono quasi venti proposte diverse, «solo quelle del Pd sono nove», ha riconosciuto Rosato. E ha poi dato la parola ai primi firmatari per runa rapida illustrazione. La più accreditata è quella del deputato Giuseppe Lauricella che sostanzialmente trasferisce l’Italicum così com’è uscito dalla Consulta (cioè senza il ballottaggio) dalla camera al senato.
Ma i tempi della discussione in commissione non possono essere troppo brevi. A gennaio, con quello che era stato presentato come un blitz vincente di Renzi, la conferenza dei capigruppo della camera aveva messo in calendario la legge elettorale in aula per la fine di febbraio (il 27), in modo tale da poterla «incardinare» e di conseguenza contingentare i tempi nella discussione in aula a marzo. Ma a questo punto, con una sola settimana utile per i lavori di commissione, è impossibile che ciò possa accadere: di certo non ci sono i tempi minimi per un esame su una proposta unificata che è tutta da scrivere. Dunque si può dare per persa anche la possibilità che la camera licenzi entro marzo una nuova legge, il che dovrebbe bastare per chiudere ogni residuo discorso sulle elezioni a giugno.

Si voterà a scadenza naturale, nel 2018, e «dal momento che mancano dieci mesi allo scioglimento delle camera – ha detto ieri sera in assemblea il presidente della commissione bilancio Francesco Boccia, sostenitore della candidatura di Emiliano – è ipocrita insistere ancora sul Mattarellum che nessuno vuole». Mattarellum che prevede i collegi uninominali e dunque comprende la richiesta di abolizione dei capilista (che però resterebbero nella parte proporzionale). Il documento dei bersaniani, presentato in assemblea dal deputato Enzo Lattuca, prevede infatti che «qualora non fosse possibile un sistema imperniato sui collegi uninominali, sia superato il meccanismo dei capilista bloccati nei collegi plurinominali». Proposta indigesta per i renziani visto che il segretario punta a disegnare le liste a sua immagine. È stato proprio Franceschini a chiedere di non mettere ai voti l’ordine del giorno. Unica mediazione concessa da Rosato alla minoranza è che cambiare la legge elettorale «non significa necessariamente andare a votare presto, semmai essere pronti».