Una nuova ondata di raid “umanitari” e l’assedio di Amerli è andato in pezzi: domenica l’esercito iracheno, con il sostegno di milizie sciite e bombe statunitensi, ha posto fine all’assedio che da due mesi intrappolava 15mila turkmeni della comunità sciita di Amerli. Da settimane i miliziani dell’Isil circondavano la cittadina, a corto di acqua, cibo ed elettricità. Chi ha potuto era fuggito nelle scorse settimane, spacciandosi per sunnita; chi non ce l’ha fatta è rimasto alla mercé degli uomini di al-Baghdadi e le loro minacce di morte contro chiunque non accettasse di convertirsi.

Fino a domenica: i raid ordinati dal presidente Obama dopo giorni di tentennamenti hanno colpito le postazioni jihadiste intorno alla città, permettendo l’avanzata dell’esercito di Baghdad che è così entrato nella cittadina. Dai C17 e i C130 statunitensi sono piovuti 40mila litri di acqua potabile e 7mila porzioni di cibo, seguiti da quattro camion di frutta e medicinali inviati dal governo di Baghdad e Mezza Luna Rossa irachena: «La situazione sta tornando gradualmente alla normalità – ha raccontato alla stampa Adel Al-Bayati, sindaco di Amerli – Alcune persone sono uscite di casa e hanno camminato per strada. I negozi sono ancora chiusi, ma la gente è felice di vedere la città sotto il controllo delle forze di sicurezza irachene».

«Su richiesta del governo iracheno, l’esercito degli Stati Uniti ha lanciato aiuti umanitari sulla città di Amerli, casa a migliaia di sciiti turkmeni che sono rimasti senza cibo, acqua e medicine per due mesi – ha aggiunto il portavoce del Pentagono, John Kirby – L’aviazione Usa ha consegnato gli aiuti insieme a Australia, Francia e Gran Bretagna». A combattere, ad Amerli, c’erano anche milizie addestrate dall’Iran e gestite dai consiglieri delle Guardie Rivoluzionarie.

Prove generali di una coalizione che intervenga militarmente anche in Siria? Per ora Obama prende tempo, allontana l’idea di una collaborazione con i nemici Teheran e Damasco, si limita a sganciare bombe (cinque i raid compiuti sabato intorno alla diga di Mosul, per un totale di 118 dallo scorso 8 agosto) che stanno incrementando la spartizione del paese in tre entità e invia il segretario di Stato Kerry a cercare alleati in Medio Oriente.

Un intervento che al contribuente americano costa 7,5 milioni di dollari al giorno, ma non prevede il coinvolgimento di truppe a terra perché al lavoro sul campo pensano peshmerga kurdi – risollevati nel morale dalle armi in arrivo da Europa e Stati Uniti – e l’esercito iracheno. Dopo Amerli, ieri gli scontri sono proseguiti nelle vicine comunità di Tuz Kharmatu e Suleiman Bek, nella provincia occupata di Salah-a-din, con la seconda strappata al controllo jihadista dalle milizie di Irbil: i miliziani kurdi hanno liberato la cittadina da un altro assedio, lungo 11 settimane, mentre continua la battaglia per Yankaja.

Scontri, sangue, assedi. A dare la misura del dramma che sta vivendo l’Iraq basta dare una scorsa ai numeri snocciolati dalle Nazioni Unite: nel mese di agosto nel paese hanno perso la vita 1.420 persone, a cui si aggiungono 1.370 feriti e 600mila rifugiati. Le indescrivibili violenze subite dai civili iracheni potrebbe perciò finire nel mirino di una speciale commissione Onu: l’Unhrc sta lavorando al lancio di una missione d’emergenza (con la collaborazione di Lega Araba, Unione Europea, Iran e Stati Uniti) che indaghi sulle atrocità commesse dall’Isis e categorizzabili come «crimini di guerra e contro l’umanità». «In migliaia continuano a essere target dello Stato Islamico e gruppi armati associati semplicemente per la loro appartenenza etnica o religiosa – ha detto Nickolay Mladenov, rappresentante Onu in Iraq – Il costo reale di questa tragedia umana non è ancora definito».

Venerdì era stata l’emergenza dei profughi siriani ad essere descritta dalle Nazioni Unite come la peggiore crisi della nostra epoca, con i suoi tre milioni di rifugiati all’estero e sei milioni e mezzo dentro i confini nazionali. E, come in Iraq, anche in Siria la guerra civile prosegue: ieri duri scontri sono ripresi tra esercito di Damasco e opposizioni armate al confine con Israele, lungo le Alture del Golan occupato, nella città di Hamidiyeh nella provincia di Quneitra.

Mercoledì il Fronte al-Nusra ha occupato l’unico valico di frontiera con il territorio israeliano e il giorno successivo ha catturato 45 caschi blu delle Fiji e circondato due basi della missione di interposizione Onu, intrappolando oltre 70 filippini. Ieri 32 di loro sono stati salvati, mentre il gruppo islamista ha rilasciato un comunicato nel quale dichiara che i caschi blu rapiti «si trovano in un posto sicuro e stanno bene» e che sono stati presi perché le Nazioni Unite «ignorano il bagno di sangue di musulmani in corso in Siria».