Del film si sa poco, il suo regista ha preferito non parlarne prima forse perché molto si sa del libro di Roberto Saviano da cui è tratta l’opera terza di Claudio Giovannesi, il titolo italiano nel concorso della prossima Berlinale (7-17 febbraio) e in sala il 13 febbraio. Scritto dallo stesso Saviano insieme a Maurizio Braucci, girato a Napoli la scorsa estate con un cast di ragazzini tutti non professionisti – Francesco Di Napoli, Artem Tkachuk, Alfredo Turitto, Ciro Vecchione, Ciro Pellecchia, Mattia Piano Del Balzo – La paranza dei bambini intreccia, appunto, le vite di sei adolescenti, Nicola, Tyson, Biscottino, Lollipop, O’Russ, Briatò che si muovono nelle strade della città con in testa un solo obiettivo: fare soldi per comprare bei vestiti e motorini nuovi. Il loro «teatro» è il Rione Sanità, lo scooter e le armi li fanno sentire potenti, invincibili. Sono uniti, un legame fortissimo, non hanno paura della galera e nemmeno della morte, la guerra è come un gioco, nel tutto e subito dell’istante il futuro non esiste.

GIOVANNESI  è rimasto un anno e mezzo a Napoli per comprendere meglio quella realtà anche se sul territorio lo aveva già portato Gomora (la serie) di cui ha diretto alcuni episodi. E la scommessa di questo film è alta (e rischiosa) proprio perché l’iconografia della «napoligomorra« è divenuta schiacciante, ma Giovannesi ha un bello sguardo, capace di spiazzare la «banalità» del genere – come mostrava il precedente Fiore – riempiendolo di vita, respiro, energia. I suoi due ragazzi che in Fiore si amano, tra galera e fughe, nei salti della loro esistenza polverizzavano lo stereotipo per fuggire liberi e vitalissimi lontano.

TRA I TITOLI svelati ieri dal festival che sarà anche l’ultimo diretto da Dieter Kosslick, c’è il nuovo lavoro di Agnes Varda (fuori concorso), Varda par Agnès (era un suo libro uscito nel ’94), un sorta di autoritratto della ragazza della Nouvelle Vague attraverso i suoi film – Cléo de 5 à 7, Les glaneurs et la glaneuse, Les plages d’Agnès, Visages Villages – e qualche detour per condurre lo spettatore dentro il suo universo.
Kosslick – nel comunicato inviato dal festival – annuncia poi che programmerà nei primi giorni il film di François Ozon (in gara) Grace a Dieu, visto l’eco mediatico dei fatti a cui fa riferimento. Ozon si ispira infatti alle vicende che hanno portato al processo per pedofilia contro un prete di Lyon, padre Preynat, accusato di avere abusato sessualmente tra l’86 e il ’91 di settanta ragazzini quando era a capo degli scout di Sainte-Fay-lès-Lyon. Tutto però rimane nascosto fino al 2016, quando uno dei ragazzi abusati, ormai quarantenne, ha denunciato il prelato – le testimonianze in passato di molti genitori erano state sempre ignorate. Ma in tribunale è finito pure l’arcivescovo di Lyon (processo in corso), il cardinale Barbarin, con l’accusa di avere insabbiato la vicenda coprendo gli abusi, da cui si difende dicendo di avere già fatto un «mea culpa», e soprattutto di avere agito in conformità alle direttive della Chiesa. «Il film è un ritratto degli uomini che hanno subito abusi, racconta come hanno vissuto con questo trauma, come hanno liberato la loro parola e quali sono state le conseguenze di questo sulla loro vita famigliare e sociale. Ho cercato di mantenere sempre il loro punto di vista» ha detto Ozon che ha girato con massima discrezione tra marzo e maggio.

IN CORSA per l’Orso d’oro ci sono poi So Long, My Son di Wang Xiaoshuai (Le biciclette di Pechino); Elisa y Marcela di Isabel Coixet (produce Netflix); God Exists, Her Name is Petrunija di Teona Strugar Mitevska; Mr. Jones di Agnieszka Holland; Öndög di Wang Quan’an; Systemsprenger esordio di Nora Fingscheidt; Out Stealing Horses di Hans Petter Moland. Tra gli eventi speciali, It Could Have Been Worse – Mario Adorf di Dominik Wessely, dedicato all’attore di Pietrangeli, Argento e di molti poliziotteschi, e The Boy Who Harnessed the Wind diretto da di Chiwetel Ejiofor, il protagonista di 12 anni schiavo.