Uccisi, bruciati e i loro resti gettati nella discarica di Cocula o nel fiume. Sarebbe questa la fine occorsa ai 43 studenti messicani, scomparsi dal 26 settembre. Una ricostruzione fornita dal Procuratore generale della repubblica, Jesus Murillo Karam, sulla base della confessione di tre sicari dei Guerreros unidos.

Il gruppo criminale, uno dei cartelli della droga imperanti in Messico, è attivo nello stato di Guerrero, dove sono accaduti i fatti: una mobilitazione studentesca partita dalla città di Iguala ha scatenato la repressione congiunta di polizia locale e narcotrafficanti e il saldo è stato di sei morti, 25 feriti e 58 scomparsi, poi risultati effettivamente 43. Nei giorni seguenti il massacro, sono finite in carcere 74 persone, tra poliziotti e Guerreros. Fra gli arrestati, anche il sindaco di Iguala, Luis Abarca, e la moglie, Maria de los Angeles Pineda, sorella di narcotrafficanti, entrambi accusati di aver ordinato il massacro per impedire la contestazione a un discorso pubblico di Pineda. In fuga anche l’ex governatore di Guerrero, Aguirre Rivero, sostituito ad interim.

Le dichiarazioni di alcuni pentiti hanno portato alla scoperta di 12 fosse comuni nelle quali sono stati rinvenuti resti umani carbonizzati, ancora al vaglio degli esperti. Le tracce scoperte a Cocula (nei pressi di Iguala) sono però le più difficili da analizzare perché calcificate. Secondo le confessioni degli imputati, i corpi dei ragazzi hanno bruciato per ore e per finire bene il lavoro i narcos hanno impedito l’accesso al camion della nettezza urbana e hanno gettato nel fiume i resti, chiusi nei sacchi della spazzatura. Un particolare confermato dalla deposizione di due operatori ecologici minacciati in quel frangente dai sicari. Già nei primi giorni dell’indagine, era emerso che la polizia aveva consegnato ai narcotrafficanti un gruppo di 17 ragazzi perché fossero uccisi e bruciati.

Le perizie effettuate nelle prime cinque fosse comuni non hanno però trovato coincidenza tra il Dna degli scomparsi e quello dei resti carbonizzati. Un comunicato dei Guerreros, indirizzato al presidente della repubblica Henrique Peña Nieto per denunciare i nomi dei politici sul libro paga dei cartelli, aveva però sostenuto l’esistenza in vita dei 43 studenti. E a questo si aggrappano i famigliari degli scomparsi per chiedere che l’indagine prosegua e che anzi venga supportato il lavoro della commissione indipendente di antropologi forensi proveniente dall’Argentina, da loro nominata per far fronte alle inadempienze governative. “Ma se non è capace di far avanzare l’inchiesta, perché non si dimette?” aveva chiesto un genitore a Nieto, che ha ricevuto le famiglie con grande ritardo (il 29 ottobre) e ha fornito loro solo fumose rassicurazioni. La sostituzione del governatore è peraltro arrivata solo dopo le ripetute proteste di studenti e sindacati, che hanno assaltato e occupato le sedi istituzionali, sfidando la repressione.

Le manifestazioni che si susseguono nel paese denunciano il “crimine di stato” e chiedono le dimissioni del presidente, fautore delle politiche neoliberiste contro le quali protestavano gli studenti massacrati. Una marcia partita da Iguala arriverà nella capitale il 20 novembre, ma nel frattempo continuano mobilitazioni e assemblee contro l’insopportabile intreccio tra mafia e politica che pervade le istituzioni messicane. Anche ieri gli studenti hanno manifestato nella capitale, sostenuti dalla solidarietà internazionale: “I genitori degli scomparsi hanno tutto il diritto di sfiduciare uno Stato sequestrato dal crimine organizzato e dal narcotraffico – ha scritto la deputata cilena Camila Vallejo, leader degli studenti nel suo paese – In Messico è diventato normale scoprire fosse con centinaia di cadaveri senza che il mondo reagisca adeguatamente. E’ ora di finirla. Il sequestro dei 43 studenti è un crimine di lesa umanità su cui dev’essere subito fatta luce”.

I ragazzi desaparecidos appartengono alle Escuelas Normales Rurales i cui iscritti vengono per questo chiamati “normalistas”. Istituti rurali fondati negli anni ’20 del secolo scorso, che forniscono un insegnamento “integrale” basato su impegno e cultura. Alla Normal Rural accedono alunni di basso reddito e fra i “normalistas” si contano celebri figure di rivoluzionari come Lucio Cabañas, del Partido de los Pobres, il cui pronipote risulta oggi fra gli scomparsi. Le scuole rurali hanno fornito linfa anche ad alcune organizzazioni armate, sorte negli anni ’70, come l’Esercito popolare rivoluzionario (Epr) e L’Esercito rivoluzionario del popolo insorto (Erpi), che in questi giorni sono tornati a esprimersi con dei comunicati. I “normalistas” sono poveri, consapevoli e combattivi, un insieme intollerabile e eccedente, ieri nel Messico di Felipe Calderon, oggi in quello di Peña Nieto.