Ho seguito con attenzione e una punta di preoccupazione le divisioni a sinistra sull’atteggiamento da tenere nei confronti del Governo Draghi. In tutta sincerità, credo che vi siano ragioni comprensibili sia in chi ha deciso di votare in favore della fiducia sia in chi – viceversa – quella fiducia dichiara di non poter nutrire. Con altrettanta attenzione ho ascoltato Mario Draghi.

Vorrei soffermarmi su un aspetto, che il Presidente del consiglio ha trattato solo di sfuggita e – a mio avviso – in modo insufficiente, laddove invece occorreva essere più espliciti e completi: mafie e corruzione. E’ ben vero che, prima di passare a ragionare sulla politica estera, Draghi ha sottolineato l’importanza della lotta all’evasione fiscale e la necessità di unire alla riforma della giustizia civile un rinnovato impegno contro la corruzione. Poco prima, però, aveva dedicato un passaggio alla condizione occupazionale delle donne nel Meridione d’Italia.

Considero quelle frasi una sintesi un poco reticente. Draghi ha affermato che, per superare la disoccupazione femminile nel Mezzogiorno, occorre garantire legalità e sicurezza, in modo anche da attrarre gli investimenti privati. Si tratta sicuramente di un passo avanti nell’analisi di questi anni: finora si era sempre detto che le mafie si approfittavano del sottosviluppo, quasi che questo fosse la causa dell’imperversare dei poteri criminali.

Draghi, invece, dice chiaramente che sono questi a determinare povertà e arretratezza sociale ed economica. Però Draghi limita il ragionamento al sud del Paese e alle donne, quando invece il radicamento delle mafie è fenomeno non solo meridionale ma – purtroppo – nazionale, europeo e internazionale.

I legami di affari tra Cosa nostra e la ‘ndrangheta, da un lato, e i trafficanti sudamericani di stupefacenti, dall’altro, erano spiegati già da Giovanni Falcone a metà anni 80 dello scorso secolo. Nel 2007, una faida tra clan calabresi fece 6 morti ammazzati a Duisburg, in Germania. E nel 2010 le indagini gemelle Crimine e Infinito hanno definitivamente svelato la colonizzazione della Lombardia da parte della ‘ndrangheta.

Analogo significato ha avuto per l’Emilia Romagna il processo Aemilia. Tutto ciò dimostra come le mafie partecipano regolarmente dell’economia nazionale ed europea, infiltrandosi e condizionandola e riciclando masse mostruose di danaro sporco. Questi aspetti riguardano l’intero Paese e non solo le donne. In tutta Italia, risorse, speranze, talenti e professionalità – di donne e uomini alla stessa maniera – sono oppresse dalla presenza mafiosa e dalle cricche corrotte che si avvinghiano alle amministrazioni centrali e locali.

In questo panorama, mi sarei aspettata che Draghi rilanciasse in modo netto l’allarme sugli appetiti delle organizzazioni mafiose sui soldi del Recovery Plan. Questo avvertimento è arrivato da diversi magistrati italiani, a partire dal procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho, e da esponenti europei. Quando il Presidente del consiglio ha detto che le missioni del programma del Recovery Plan “potranno essere rimodulate e riaccorpate” avrei voluto sentire che dicesse che nel fuoco dell’attenzione deve entrare il finanziamento di iniziative strutturali per la legalità e la lotta alla presenza mafiosa.

Faccio tre esempi. Anzitutto, è necessario un potenziamento e un ammodernamento dell’Agenzia dei beni confiscati alle mafie. La legislazione ha fatto enormi passi avanti nella sottrazione dei beni alle mafie. Ma una volta fatta la confisca, resta il problema dell’effettiva restituzione all’utilità pubblica di quei beni. Palazzi, ville, appartamenti, aziende, supermercati, alberghi. Non si può accettare che in mano mafiosa producano ricchezza e in mano allo Stato vadano in rovina.

Secondo: una delle missioni è intitolata all’equità sociale e territoriale. Speriamo che in quel contesto si faccia vera formazione sulla legalità e sulla trasparenza. Come Draghi stesso ha affermato, occorre investire in preparazione tecnica, legale ed economica dei funzionari pubblici. Occorre assumerli, però, quei funzionari: con concorsi puliti e rapidi, in modo da immettere nelle amministrazioni locali risorse fresche e determinate, che sappiano resistere bene alle pressioni malavitose. Il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa negli enti locali è – purtroppo – ancora all’ordine del giorno.

Terzo: rafforzare la digitalizzazione dei pagamenti e limitare l’uso del contante. Il governo Monti aveva portato il limite a mille euro, sciaguratamente riportato a 3000 nella scorsa legislatura. Se innovazione si vuole fare, la si faccia nel tracciamento dei flussi di danaro, anche irrobustendo le iniziative di promozione dei pagamenti elettronici – qui davvero – proseguendo nel solco dei provvedimenti del governo Conte 2, che Draghi ha ringraziato.