Commenti

I profitti di Pfizer e l’impotenza della politica

I profitti di Pfizer e l’impotenza della politicaInsegna dell'azienda farmaceutica Pfizer. – Ap

Variante Delta e terze dosi L'azienda ha comunicato le previsioni economiche per il 2021: grazie al vaccino conta di ottenere ricavi per oltre 33 miliardi di dollari, 7 in più rispetto alle previsioni di maggio. Il rialzo è determinato dalla diffusione della variante delta

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 3 agosto 2021

Il nome “Pfizer” oggi ci ricorda la principale arma a nostra disposizione contro la pandemia, il vaccino più utilizzato al mondo. Ma Pfizer rischia anche di diventare il nome del principale alleato del virus.

L’azienda ha appena comunicato le previsioni economiche per il 2021: grazie al vaccino conta di ottenere ricavi per oltre 33 miliardi di dollari, 7 in più rispetto alle previsioni di maggio. Il rialzo è determinato dalla diffusione della variante delta e dalla probabile vendita della terza dose ai paesi più ricchi (soprattutto Unione Europea, Usa e Regno Unito). Secondo i manager dell’azienda, la pandemia durerà ancora a lungo.

La loro profezia è destinata ad auto-avverarsi: se la strategia della Pfizer consiste nel riempire di dosi i paesi ad alto reddito, lasciando quelli poveri senza vaccini, è fatale che le ampie sacche di circolazione del virus generino periodicamente nuove varianti. Non era certo un caso se prima della ridenominazione politicamente corretta («alfa», «beta» etc) le varianti in circolazione erano dette «sudafricana», «brasiliana» o «indiana». In questo modo, il bisogno di nuovi richiami e nuovi vaccini sarà garantito negli anni.

È necessario che la politica spezzi questo circolo vizioso. Le strategie possibili sono diverse, e vanno dall’abbattimento delle protezioni brevettuali agli investimenti pubblici per allargare la capacità produttiva e al posticipo dei richiami a favore delle donazioni ai paesi poveri, come raccomanda da mesi l’Oms. La vicenda del recovery plan dimostra che la pandemia richiede e autorizza un intervento pubblico straordinario.

Sulla carta, l’Unione europea è l’istituzione più indicata a prendere l’iniziativa: rappresenta il mercato più grande del mondo per le case farmaceutiche, negli stati membri il sistema sanitario è pubblico e universale e ospita le maggiori industrie esportatrici di vaccini anti-Covid. Eppure, l’Europa si è rivelata finora la controparte più debole per Big Pharma.

L’accordo europeo per l’acquisto congiunto dei vaccini mirava a conquistare un maggiore potere contrattuale nel negoziato con le aziende e a spuntare prezzi più bassi. Invece l’Unione Europea ha dapprima firmato contratti capestro che non le permettono nemmeno di rivendere a paesi terzi le dosi ricevute. E invece di allargare gli acquisti a più produttori, l’Unione ha già deciso di affidarsi solo ai vaccini a Rna per il futuro, conferendo alla Pfizer un monopolio di fatto visto che l’altro produttore Moderna ha una capacità produttiva molto inferiore.

L’effetto sui prezzi, e sugli utili delle aziende, è immediato: dopo aver acquistato circa 600 milioni di dosi nel 2020 al prezzo (ufficioso) di 15,5 euro a dose, l’Ue ne ha prenotate fino a 1,8 miliardi al prezzo addirittura superiore di 19,5 euro l’una per il 2021. Per le dosi Moderna, il prezzo per dose sale da 19 a 21,5 euro a dose. Invece di ottenere prezzi più bassi grazie alle economie di scala, l’Unione europea si sta rivelando una gallina dalle uova d’oro per le aziende. Anche a livello internazionale l’Ue sembra l’alleata più forte per Pfizer & Co.

Nei negoziati all’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’Ue rappresenta l’unico blocco contrario alla moratoria sui brevetti richiesta da oltre cento paesi poveri e appoggiata – almeno a parole – persino dagli Usa. Nel frattempo, il programma umanitario Covax per donare dosi ai paesi in via di sviluppo ha consegnato finora 164 milioni di dosi in tutto ai 138 paesi che ne abbisognano. L’Italia da sola ha finora somministrato più dosi dell’intero continente africano, che ancora attende i cento milioni di dosi promessi dall’Unione Europea al summit romano del G20. La retorica del «vaccino bene comune», agitata spesso anche dal nostro ministro della salute Speranza, è servita.

Sarebbe sbagliato prendersela con la Pfizer: l’azienda fa l’interesse dei suoi azionisti com’è normale che sia, sfruttando fino in fondo le regole del gioco. Ma se le strategie commerciali delle aziende contrastano con la salute pubblica, il compito della politica è cambiare le regole.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento