Se siete in America, non da turista, non in una prestigiosa università, ma in un posto anonimo e dovete prendere il treno o bere l’acqua del rubinetto di casa, avere una rete che non cade, fare acquisti in giganteschi supermercati, poter uscire quando è buio, allora scoprite che siete vittime della sindrome di Stoccolma sul paese.

L’origine della sindrome risale alle scatolette di carne e alle caramelle col buco, regalate dai soldati americani del dopoguerra ma la responsabilità attuale è tutta dei media, dei corrispondenti dei quotidiani che quotidianamente ti raccontano che là è tutto meglio che da noi.

Vai là e scopri che i treni sono come i pendolari meridionali, che puoi bere solo acqua minerale, che i ponti e le strade e i mezzi di comunicazione mancano di manutenzione dall’epoca di Roosevelt, cui si deve che esistono. Dopo più di mezzo secolo è stato eletto infine un presidente che in politica interna si ricollega agli anni Trenta. All’epoca la questione era contrastare la depressione, oggi il trumpismo.

Il rinnovamento delle infrastrutture e le misure di impronta sociale e culturale dovrebbero ricacciare sotto il tappeto gli istinti plebei, esaltati da Trump e dare spazio alle aspettative dell’uomo che lavora per quanto riguarda i servizi, i trasporti pubblici, le scuole, gli ospedali, la polizia. La spinta impressagli dalla paura del trumpismo e dalla contingenza del Covid gli sta facendo compiere una svolta di 360° gradi.

Non in politica estera dove il sentiero preso è quello del suo partito: la divisione ideologica tra nemici e alleati della più grande potenza militare sulla faccia della terra. Quando c’era l’Urss, da un lato vi era la libertà nel fare e nel pensare e cioè il bene, dall’altro lato il controllo politico e economico e cioè il male. Oggi le istituzioni democratiche sono ovunque in sofferenza mentre gli uomini della moneta e dei big data imperano ovunque, indifferenti alle forme della politica, siano turche, portoghesi, cinesi. Oggi l’ideologia rispunta per coprire l’unico reale confronto rimasto, la capacità strategico-militare di un paese: all’origine dei contrasti con Putin vi è il risentimento perché la Russia di Yeltsin non onorò la promessa di distruggere l’apparato militare e al contrario ha operato ininterrottamente per conservare la parità strategica. E così è per le avvisaglie cinesi di diventare una potenza anche militare.

Così non è per l’Europa, tornata con Biden a luogo dove sistemare basi in funzione antirussa con l’entusiasta benestare polacco, dove rafforzare la Nato. Con Biden l’Europa di nuovo è un cortile di casa sicuro, rispetto a Trump che minacciava di vuotarlo.

Il segretario di stato Blinken ha origini ucraine, vale a dire in qualche modo complesse ma europee, come buona parte del ceto intellettuale democratico che ispira il rapporto con noi europei, fatto di ancestrale risentimento e di inconfessabile rivalsa. Il rapporto è dall’alto in basso, dovuto sia alla nostra scontata «debolezza-indipendenza militare» ma soprattutto alla nostra capacità, politica e culturale, di non vedere lo stato di subalternità.