Nell’Italia bacchettata dalla Commissione diritti umani dell’Onu, tra le altre cose, per il ritorno alla piaga degli aborti clandestini e per la discriminazione delle coppie omosessuali nell’accesso alla fecondazione in vitro – problemi sistematicamente negati dal ministro della Salute – sono nati tre bambini. Da due coppie che mai avrebbero potuto realizzare il loro sogno se l’oscurantista legge 40 non fosse stata smantellata pezzo per pezzo da 23 sentenze di tribunali. Con buona pace della Ncd  Beatrice Lorenzin che avrebbe preferito condannare a vita gli italiani al turismo procreativo. E invece ieri alla Camera l’Associazione Luca Coscioni ha distribuito confetti.

ROSA E AZZURRI, per festeggiare Martina, la bimba romana nata il 10 marzo da Valentina e Fabrizio, e i due gemelli maschi nati il 2 marzo dai sardi Claudia e Maurizio. È grazie alla battaglia condotta anche da queste due coppie, sostenute dall’associazione radicale Coscioni e dall’avvocata Filomena Gallo che ne è segretaria, se la legge 40 è ridotta oggi a due monconi. Depotenziata sì, ma ancora tanto inutile quanto dannosa.

Valentina e Maurizio infatti sono una coppia fertile ma portatrice di una grave patologia genetica che, dopo un’esperienza dolorosissima e abominevole di un aborto portato a termine in solitudine nel bagno di un ospedale pubblico (il  Pertini di Roma) tra ginecologi obiettori e l’incuria del personale, avrebbe voluto ricorrere alla Procreazione medicalmente assistita con diagnosi pre impianto. Allora la legge 40/2004 lo vietava, ma grazie alla loro battaglia il 14 marzo 2015 la Corte costituzionale cancella il divieto (sentenza n°96) di accesso alla Pma per le coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche e cromosomiche trasmissibili.

È SOLO L’ULTIMO COLPO che la Consulta infligge alla legge-manifesto dei pro-life. Con la sentenza 162, nel 2014 viene eliminato il divieto di eterologa, e con la n°151 i giudici costituzionalisti rimuovono il divieto di produzione di più di tre embrioni e l’obbligo di impianto contemporaneo di tutti gli embrioni ottenuti.

Prima però, nel 2012, è dal Tribunale di Cagliari che arriva un pronunciamento importante per tutte quelle coppie che fino ad allora, pur avendo accesso alla fecondazione in vitro non potevano sottoporsi, nelle medesime strutture pubbliche, alla diagnosi preimpianto. Un altro divieto insensato. Claudia e Maurizio però non si arrendono, e dopo aver combattuto per una vita contro una malattia trasmissibile come l’anemia mediterranea (talassemia), con annessa l’esperienza di aborti spontanei, chiedono – e ottengono – dai giudici di Cagliari di poter verificare, nello stesso centro abilitato alla Fivet, lo stato di salute degli embrioni prima del trasferimento in utero.

EPPURE, «ANCORA OGGI – spiega Filomena Gallo – in Italia il Registro nazionale sulla Pma conta un totale di 359 centri, di cui sono solo 43 quelli che effettuano la diagnosi genetica preimpianto». Malgrado, come spiega la prof.ssa Laura Rienzi, presidente della Società italiana di embriologia e riproduzione, «circa l’1,5% delle coppie italiane rischia di trasmettere al proprio figlio una patologia genetica grave ma diagnosticabile con test genetici praticati nel resto del mondo dal 1990».

E ANCORA OGGI la legge 40 vieta l’utilizzo a scopo scientifico delle migliaia di embrioni non utilizzabili che giacciono congelati nei centri di Pma. Si potrebbero forse salvare molte vite, se quegli embrioni fossero affidati ai ricercatori italiani. È l’ultimo divieto, insieme a quello che impedisce ai single e alle coppie omosessuali di accedere alla fecondazione artificiale, che rimane in piedi per pura ideologia della classe politica dominante.

«Una politica decisamente sorda ai diritti della donna e della coppia in tema di salute, diritto alle cure, principio di uguaglianza, genitorialità – prosegue la segretaria dell’associazione Coscioni – Resta un vuoto normativo e molte richieste inascoltate. Basti pensare che da una recente ricerca condotta da Swg su un campione di mille italiani, ben il 72% si dichiara favorevole alla diagnosi preimpianto e il 57% alla donazione degli embrioni alla ricerca».

Eppure perfino nei nuovi Livelli essenziali di assistenza, recentemente pubblicati in Gazzetta ufficiale, la ministra Lorenzin che li ha presentati con grande enfasi ha dimenticato di inserire la diagnosi preimpianto e i test genetici tra le prestazioni garantite dal Ssn. Pur includendo, gioco forza, finalmente la Pma. «Si crea così – nota Gallo – una condizione di evidente discriminazione». In parlamento però solo i socialisti rispondono all’appello dell’associazione radicale e dei cittadini italiani: è infatti di Pia Locatelli l’interrogazione parlamentare presentata alla ministra della Salute affinché nella prossima relazione al parlamento sulla legge 40 renda noti almeno il numero di embrioni/blastocisti crioconservati non idonei per una gravidanza e i dati relativi alle coppie fertili portatrici di patologie genetiche che, grazie alla Consulta, dal 2015 possono accedere alla diagnosi preimpianto.