Forse il direttore dell’Unrwa (Onu) a Gaza, Matthias Schmale, non si è espresso come avrebbe voluto o l’interpretazione data dai media israeliani alle sue parole va oltre le sue intenzioni. Certo è quel suo descrivere come «precisi» e «sofisticati» i raid aerei israeliani sulla Striscia di Gaza ha alzato un’onda di indignazione tra i palestinesi. Due giorni è morto un altro palestinese, Osama Abu Raida, 24 anni, per le ferite subite durante un bombardamento e il bilancio totale delle vittime è salito a 254 mentre i feriti sono circa 1.700. «Penso che la precisione ci fosse ma ci sono state anche perdite di vite di civili inaccettabili e insopportabili», afferma Schmale che rispondendo alle domande della tv israeliana Channel 12 ha anche ridimensionato la portata della crisi umanitaria a Gaza dopo l’escalation militare tra Hamas e Israele. Questo mentre varie ong internazionali lanciano nuovi allarmi. «A Gaza gran parte della popolazione non ha accesso regolare all’acqua pulita – avverte Oxfam – le reti idroelettriche sono distrutte e l’unico impianto di desalinizzazione è chiuso. La conseguenza è che 400 mila persone sono rimaste letteralmente senz’acqua, costrette, in piena pandemia, a sopravvivere in condizioni igienico-sanitarie sempre più critiche, con gli ospedali che sono stati colpiti dagli attacchi».

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Ramadan Elnajeli ha saputo da poco delle parole pronunciate da Schmale e incontrandoci ci dice che lui «di queste cose militari non ci capisce proprio nulla» e, aggiunge, «vorrei che mi spiegassero perché hanno preso di mira la mia libreria e quelle dei miei colleghi». «Io mi intendo solo di stampa, inchiostro, carta, libri e di tutto ciò di cui hanno bisogno gli studenti che frequentano le due università lì a cento metri». Parla della Alzhar e della Islamica, campus situati in una delle strade più belle di Gaza city con al centro alberi di alto fusto e di lato caffetterie ben tenute frequentate da studenti e docenti. Elnajeli in quella strada credeva di aver trovato il suo habitat ideale. E invece, in un solo colpo, ha perduto il lavoro e la casa. «Ero l’unico ad abitare nell’edificio. Quando (gli israeliani) hanno cominciato a bombardare, per un paio di giorni ho tenuto aperta la libreria, poi con mia moglie e i bambini ci siamo spostati da parenti che vivono più a sud, dove gli aerei attaccavano di meno. Quindi ho saputo da amici che avevano colpito questa strada, mi sono precipitato qui e ho trovato solo macerie».

Se quella di Ramadan Elnajeli era una piccola libreria, quella di Samir Mansour era una delle più grandi Gaza city, con la vocazione di affermarsi come una piccola casa editrice. Il grosso delle entrate derivava dalla vendita di testi universitari ma sugli scaffali era possibile trovare anche romanzi di respiro internazionale tradotti in lingua araba e testi di autori arabi del passato e di palestinesi contemporanei. Magari non il preislamico Imr ul-qais ma certo Al Mutanabbi e Ibn al-Arabi, il siriano Nizar Qabbani e la triade palestinese Mahmoud Darwish, Samih al Qasim e Tawfiq Zayyad. «Ho impiegato trent’anni per mettere su questo progetto, i libri sono stati una parte importante della mia vita – ci dice Samir Mansour –, poco alla volta la libreria è cresciuta e mi sono trasferito in questo edificio. Fino a qualche giorno fa davamo da vivere a 15 dipendenti, ovvero a 15 famiglie. È stato bello vedere tanti studenti entrare ogni giorno dell’anno nella libreria. Ora è finito tutto, non so come faremo ma siamo salvi e questa è la cosa più importante».

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Contro pregiudizi banali e visioni stereotipate, Gaza vuol dire anche cultura, poesia, letteratura. Una schiera di giovani occupano tutti gli spazi disponibili pur di farsi conoscere in campo letterario. Il sito We are not numbers è uno di quelli più aperti a queste tendenze. E il libro resta un must per tanti malgrado la concorrenza degli smartphone. «Il giorno in cui l’ho incontrata si è seduta su una collina, possedeva un libro, guardando il sole, con gli occhi socchiusi, leggendo le parole», scrive Khaled Al Ostath, giovane poeta e scrittore di Gaza nel suo «Una volta un tramonto» in quella che lui stesso descrive come una ode a chi stringe un libro tra le mani.

Il libro è la passione anche di Mosab Abu Toha, 29 anni, palestinese, che qualche anno fa ha aperto una biblioteca pubblica di testi in lingua inglese diventata un punto di riferimento per chi vuole leggere un libro, partecipare a un reading e socializzare. Dopo la laurea in lingua e letteratura inglese, Abu Toha postò una richiesta di aiuto su Facebook – «Library & Bookshop For Gaza» – e in breve tempo raccolse donazioni da ogni parte del mondo. Più di tutto gli inviarono libri di diversi generi: psicologia, filosofia, politica, letteratura, storia, religione. «Non esiste davvero una cosa come i ‘senza voce’. Ma solo coloro che sono deliberatamente messi a tacere o preferibilmente lasciati inascoltati», amano ripetere i giovani di We are not numbers prendendo a prestito le parole di Arundhati Roy.

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Davanti alle rovine della sua libreria, Shaban Aslim, il terzo dei librai colpiti dal bombardamento aereo, non nasconde la sua profonda amarezza. «Mi sono tolto il pane di bocca per aprire questa libreria – ci dice – talvolta ho risparmiato sul cibo per i miei figli. E continuo a domandarmi il perché di tutto questo, io vendevo solo libri a chi aveva il desiderio di leggerli».