In principio fu Montalbano, così amato che da oltre vent’anni la Rai ripropone imperterrita gli stessi episodi sicura che il pubblico li guarderà anche se li sa a memoria. A dir la verità nell’ultima puntata, Il metodo Catalanotti, qualche sconquasso il commissario l’ha provocato per via di quel tradimento con relativo abbandono della storica fidanzata Livia con una telefonata. Anzi, ha fatto di peggio, si è messo nella condizione di farsi lasciare, come il più classico dei fedifraghi sommerso dai sensi di colpa e dall’incapacità di prendere in mano la situazione. Molte spettatrici ne sono rimaste sconfortate, come se fosse stato demolito un punto di riferimento solido e tranquillizzante.
L’amore incondizionato che Montalbano suscita da anni si regge su una miscela astuta che diverte e non inquieta. Luoghi da vacanza e da Italia di un tempo, mare e sole, vedute su piazze e palazzi del barocco siciliano, ottima cucina, lingua o dialetto locali, vita di provincia con sottofondi deviati e delitti, compagnia di giro con il poliziotto bravo e furbo, quello scemo e gentile, il seduttore, l’intelligente che sa stare al suo posto, la fedele domestica che cucina prelibatezze, l’amica disinibita (e ovviamente straniera), le sciantose peccatrici, le ragazze morigerate, le mogli fedeli e quelle traditrici, e poi quella fidanzata che non ha mai dato sorprese, perché una certa Italia torna sempre dalla mamma, dalla moglie o dalla compagna di una vita.

VISTO IL SUCCESSO immarcescibile, che si fa? Si ripete e si copia, ed ecco negli anni spuntare: una procuratrice a Matera che riesce a stare sui tacchi alti tutto il giorno anche in quella città tutta scale, un commissario malmostosissimo esiliato in Valle d’Aosta, una poliziotta procace e in perenne cerca d’amore a Bari seguita, a stretto giro di posta, da un giornalista caduto in disgrazia a Màkari, sempre in Sicilia, spiaggia dall’acqua cristallina nei pressi di San Vito Lo Capo, ma con molte inquadrature nella cala di Scopello dove sta una tonnara medioevale. Così come per Montalbano, anche qui i locali si sono fatti furbi tant’è che su Google map si trova già la villa di Saverio Lamanna (il protagonista), casomai qualcuno volesse affittarla per le vacanze o farci un pellegrinaggio.
Confesso che per rilassarmi anch’io guardo e riguardo Montalbano, consapevole che ogni tanto mi piace sentirmi come quei bambini che non si stancano mai di farsi ripetere la stessa favola.

CONFESSO anche che nessuno finora ha saputo ipnotizzarmi allo stesso modo e che, di conseguenza, molto difficilmente riguarderò gli spinosi Schiavone e Tataranni, mentre la new entry Lobosco l’ho abbandonata prima della fine della prima puntata causa rischio addormentamento, e sull’irrisolto Lamanna ho resistito solo per vedere il mare e che cosa mangiavano. Il fatto è che per confezionare una serie acchiappante non bastano paesaggi da vacanza, un canovaccio di tipi da commedia dell’arte e un dialetto o simil dialetto locale, servono anche personaggi e storie credibili, sceneggiature acute o acuminate e, soprattutto, idee nuove. Invece si è scelto di andare sull’usato e nemmeno tanto sicuro perché siamo di fronte a pallide fotocopie (di Montalbano) che o non lasciano il segno o lo lasciano blando. Attenzione poi al rischio overdose. Ci sono acculturate fan del commissario, nel senso che amano anche prodotti ben più sofisticati, che hanno cominciato a dire: «Ma che sta succedendo? Con tutti sti sceneggiati con investigatori ci vogliono addormentare?». Più che un dubbio, direi che è una certezza.

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