«I palestinesi devono farne a meno, quei dollari servono solo a pagare il coordinamento di sicurezza tra servizi dell’Anp e quelli israeliani e qualche progetto civile in Cisgiordania e Gaza». L’analista Ghassan al Khatib sminuisce il peso dell’aiuto annuale Usa, circa 300 milioni di dollari, minacciato da Donald Trump per imporre ai palestinesi di tornare – nonostante la sua dichiarazione su Gerusalemme capitale d’Israele – al tavolo delle trattative con Israele. L’esortazione di Khatib a non farsi condizionare si aggiunge alla fermezza che, almeno in queste ore, la presidenza dell’Anp e l’Olp mantengono nei confronti della Casa Bianca. «Gerusalemme non è in vendita» ha replicato a Trump il portavoce palestinese Nabil Abu Rudeina. «Non ci faremo ricattare» ha aggiunto Hanan Ahsrawi, del Comitato esecutivo dell’Olp. «Riconoscendo Gerusalemme occupata come capitale d’Israele, Donald Trump ha distrutto le fondamenta della pace e condonato l’annessione illegale della città da parte israeliana. Ora osa dare la colpa ai palestinesi per le conseguenze delle sue azioni irresponsabili!», ha spiegato Ashrawi ribadendo che gli Stati Uniti non sono più idonei al ruolo di mediatori, poiché si sono schierati apertamente con Israele. E, stando a quanto riferisce Nabil Shaath, consigliere di Abu Mazen per gli affari esteri, presto il Consiglio centrale dell’Olp discuterà della cancellazione degli accordi di Oslo e del possibile ritiro del riconoscimento palestinese dello Stato di Israele. La fine di Oslo è stata chiesta con forza dal leader del movimento islamico Hamas, Ismail Haniyeh, che ha proposto la formazione di «un fronte arabo-islamico unito in coordinamento con gli organismi internazionali per sostenere i diritti dei palestinesi».

 

Unrwa

Ma se l’Anp, per ora, respinge al mittente il ricatto di Washington, ai vertici dell’Unrwa invece è scattato l’allarme rosso. Gli Usa, per vendicarsi delle critiche palestinesi, minacciano di tagliare anche i fondi americani per l’agenzia dell’Onu che garantisce assistenza a circa cinque milioni di profughi palestinesi nei Territori occupati, in Libano, Siria e Giordania. Senza quei dollari l’Unrwa rischia il crollo. Nel 2017 con 364 milioni di dollari gli Stati Uniti sono stati il primo finanziatore dell’agenzia dell’Onu, seguiti dall’Unione europea con 143 milioni. Perciò il telefono di Chris Gunness, il portavoce dell’Unrwa, ieri ha squillato in continuazione. Lui con calma ha spiegato ai giornalisti che «Il contributo dell’Unrwa è indispensabile per i rifugiati palestinesi» e per la «stabilità della regione». Da ricco uomo d’affari e ora da presidente degli Usa, Trump pensa di poter comprare tutto e tutti in giro per il mondo. «Non è solo al Pakistan – ha twittato il tycoon – che paghiamo miliardi di dollari per nulla, ma anche per molti altri Paesi. Ad esempio, paghiamo ai palestinesi centinaia di milioni di dollari all’anno e non otteniamo alcun apprezzamento o rispetto. Non vogliono neppure negoziare un trattato di pace con Israele necessario da molto tempo». Secondo Trump, gli Stati Uniti «hanno tolto dal tavolo Gerusalemme, la parte più dura del negoziato, ma Israele, per questo, avrebbe dovuto pagare di più. Ma con i palestinesi non più desiderosi di colloqui di pace, perché – domanda il presidente – dovremmo fare loro quei massicci pagamenti futuri?”. Trump il mese scorso ha già tagliato all’Onu 285 milioni di dollari per il 2018 e il 2019 – come rappresaglia per il voto dell’Assemblea Generale che ha condannato la sua dichiarazione su Gerusalemme -, quindi è toccato al Pakistan per il suo «doppio gioco con i terroristi»: 255 milioni di dollari di aiuti in meno.

In casa israeliana gli applausi al presidente Usa sono incessanti. Trump, ha detto il ministro per le comunicazioni Ayoub Kara (un druso membro del partito di maggioranza relativa Likud), ha fatto cadere «la maschera di ipocrisia dei palestinesi». Per il ministro dell’istruzione Naftali Bennett, leader del partito nazionalista religioso Casa Ebraica, il presidente americano non ha paura a dire la verità. La verità è che Gerusalemme è la capitale d’Israele e non sarà mai divisa». A criticare Trump e il premier Netanyahu è stata invece l’ex ministra degli esteri, ora all’opposizione, Tzipi Livni. «Un governo responsabile e serio – ha scritto su Twitter – spiegherebbe al presidente americano i veri interessi d’Israele che comprendono l’evitare una crisi umanitaria a Gaza e la prosecuzione della cooperazione con le forze di sicurezza palestinesi». La maggioranza comunque però va per la sua strada e a inizio settimana la Knesset ha approvato in prima lettura una legge che impedisce la restituzione di qualsiasi porzione di Gerusalemme. Inutili le proteste palestinesi e della Giordania. Intanto è salito a 14 il numero dei palestinesi uccisi durante le proteste per il riconoscimento da parte della Casa Bianca di Gerusalemme come capitale di Israele. Ieri un ragazzo, Musab Tamimi, 17 anni, è stato ucciso dal fuoco di soldati israeliani a Deir Nizam.