Chi sono i padroni della Terra? Chi si sta accaparrando le terre a danno dei popoli indigeni e dei contadini? Le risposte sono contenute nel sesto Rapporto I padroni della terra 2023 di Focsiv, Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontariato. Dal Rapporto emerge che negli ultimi vent’anni nel mondo sono stati accaparrati 114,8 milioni di ettari di terra, solo lo scorso anno questo dato è aumentato di 26,1 milioni di ettari. «Il fenomeno è ad appannaggio dei paesi occidentali», afferma Andrea Stocchiero, Ufficio policy Focsiv. «In particolare, stando alla banca dati di Land Matrix, il sito che raccoglie informazioni sui contratti di cessione e affitto di grandi estensioni di terra, la Cina è attualmente il paese con più interessi distribuiti nel mondo, avendo accordi con ben 53 paesi per la concessione di terre, seguita dagli Stati Uniti con investimenti in 47 paesi, dalla Gran Bretagna con accordi con 42 paesi e il Canada attraverso alcune grandi imprese multinazionali del settore estrattivo operanti in 41 paesi. A distanza vi sono altri paesi occidentali sede di multinazionali come l’Olanda che investe in 33 paesi e la Svizzera in 29 paesi».

Quindi ci sono delle forti concentrazioni di accaparramento di terra in pochi stati.

Se si analizzano più in dettaglio i dati si notano alcune concentrazioni di interessi tra paesi investitori e paesi oggetto di operazioni di acquisizione e concessione di terre. Vi sono paesi come il Giappone, la Svizzera e la Gran Bretagna che hanno fatto grandi investimenti di terra nella Federazione Russa: rispettivamente per 7,5-5,8- 2,2 milioni di ettari. Il Belgio e la Cina, invece, svolgono grandi operazioni nella Repubblica Democratica del Congo – per 4,7 e 3 milioni di ettari, rispettivamente – mentre il Perù attrae grandi investimenti soprattutto dal Canada, 4,4 milioni di ettari, e dalla Spagna, 4,1 milioni.

Quali sono le conseguenze di tutto ciò per le popolazioni locali?

Le operazioni sulla terra per dar luogo a grandi piantagioni di monocolture per l’industria agroalimentare e per le bioenergie, o per l’estrazione di minerali tradizionali o per il legname pregiato per l’industria, hanno conseguenze sul diritto alla terra e alla vita delle comunità locali che vengono espropriate e che soffrono della perdita di biodiversità. Tra tutte queste cause quelle che portano alla deforestazione sono le monocolture o l’allevamento di bovini su grandi estensioni, come accade in Amazzonia e nel Gran Chaco (zona tra Argentina, Bolivia, Brasile e Paraguay). A tutto ciò si devono aggiungere gli incendi provocati dai proprietari terrieri per espandere la frontiera agricola, come è accaduto nel Pantanal al confine tra Paraguay e Bolivia.

In Italia come siamo messi in termini di accaparramento di terre?

In Italia non si può parlare propriamente di accaparramento, ma di riduzione crescente della disponibilità e fertilità del suolo a causa dell’aumento dell’uso della terra per scopi agroindustriali con grandi monoculture, per urbanizzazione e industrializzazione, per la cementificazione per grandi basi logistiche e commerciali.

Cambiamenti climatici e crisi conseguenti alla guerra in Ucraina hanno accelerato la competizione per accaparrarsi le risorse (estrazione, lavorazione e distribuzione). Cosa sta succedendo?

Stiamo assistendo sempre più a una espansione dell’uso della terra e del cibo per motivi economici e di egemonia geopolitica, con impatti negativi sui diritti umani delle comunità contadine e indigene e sull’ambiente. Si amplia in tutto il mondo l’accaparramento di terra e di cibo, il land grabbing con il food grabbing.

Un esempio?

Nel giugno del 2022 i governi occidentali hanno firmato un patto per il controllo, estrazione e sfruttamento dei minerali critici che sono importanti per la transizione ecologica. Come si può ben intendere la sicurezza economica nazionale è diventata un nuovo mantra. I governi lanciano nuovi piani industriali sostenuti da sussidi pubblici per creare, rafforzare, attrarre capacità produttive e tecnologiche e assicurarsi il controllo di risorse strategiche. Gli Stati Uniti hanno adottato l’Inflation Reduction Act, a cui pochi mesi più tardi ha risposto la Commissione europea con il Critical Raw Materials Act. Senza considerare gli impatti nei Paesi del Sud del mondo e sui diritti delle comunità più vulnerabili.

Il Rapporto 2023 è dedicato ai difensori dei diritti umani e dell’ambiente che hanno perso la vita a causa delle loro battaglie. Di quante persone parliamo e dove avvengono questi fatti?

Come evidenzia il Rapporto Front Line Defenders, nel 2022 sono state uccise 401 persone in 26 paesi – dal Brasile e Colombia al Myanmar e Indonesia, dalla Repubblica democratica del Congo al Mozambico – per essersi opposti alla devastazione e all’inquinamento su grande scala di foreste, terra e acqua, lottando in difesa del Pianeta e del diritto di ciascuno di non essere sfruttato o emarginato e di poter vivere in un ambiente salubre e sostenibile. Altre 1500 persone sono state invece minacciate, violentate o detenute. Si tratta di leader contadini, ambientalisti e sindacalisti uccisi per mano di killer di bande armate, di milizie o della polizia locale.

Sempre nel Rapporto si afferma in maniera forte il diritto alla terra e quindi a una agricoltura familiare. Ciò però si scontra con i grandi proprietari terrieri e le multinazionali. Cosa fare?

Non c’è una strada maestra, ma molti sentieri che assieme possono condurre a vedere riconosciuto e protetto il diritto alla terra delle comunità contadine ed indigene. Dall’applicazione effettiva delle convenzioni internazionali e leggi nazionali che prevedono la difesa del diritto alla terra, a nuovi regolamenti internazionali, regionali e nazionali che obblighino le imprese a rispettare i diritti umani e della natura, come la legge francese sulla dovuta diligenza che prevede che le imprese valutino e rispondano obbligatoriamente ai rischi di violazione dei diritti delle comunità locali e della natura, e la direttiva europea in corso di negoziazione su imprese e diritti umani. Ma tanto passa anche dalle ribellioni dei contadini e dei popoli indigeni contro la prepotenza di multinazionali ed élite locali che attuano un modello di sviluppo estrattivista senza limiti.

Per porre un freno a tutto ciò, a chi chiedete di fare di più e meglio?

A livello italiano sarebbe importante sostenere il negoziato per la direttiva europea su imprese e diritti umani; così come investire di più nella cooperazione allo sviluppo per sostenere le lotte per la difesa della terra e l’agricoltura agroecologia dei contadini africani, latinoamericani e asiatici. Per questo la Campagna 070, sostenuta dalle reti delle organizzazioni di società civile italiane (Aoi, Cini e Link2007) con il Forum del terzo settore, ASviS, Caritas italiana e Missio, chiede di programmare il raggiungimento dell’obiettivo dello 0,7% del reddito nazionale lordo per l’aiuto pubblico allo sviluppo della cooperazione internazionale.