Nei prossimi giorni a Bruxelles prima la Commissione poi l’aula del Parlamento europeo inizieranno a discutere e a decidere sulla nuova PAC , ovvero sull’insieme delle regole e dei meccanismi che regolano la politica agricola comune. E’ questione di grande importanza e non solo per il mondo agricolo. Lo schema di gioco del passato è noto: dei circa 60 miliardi previsti per il piano agricolo europeo l’ 80% andava ai grandi produttori e alle coltivazioni intensive, mentre meno del 20% arrivava ai piccoli e medi produttori e all’agricoltura di qualità.

È urgente e non più rinviabile un radicale cambiamento. La politica agricola europea dovrebbe sostenere i piccoli e medi produttori, essere non più frammentaria e settoriale, bensì capace di integrarsi con una strategia di sviluppo delle zone rurali e delle aree interne. I finanziamenti dovrebbero essere utili a garantire cibo di qualità ai cittadini, un equo reddito ai contadini e una politica attiva contro i cambiamenti climatici. Così dovrebbe essere, ma è inquietante e preoccupante il silenzio di tanta parte della politica. In molti abbiamo salutato i principi del documento della Commissione “From farm to Fork”, ove si afferma che bisogna destinare il 25% della superficie agricola coltivabile al biologico ( SAU), preservare il 10% delle coltivazioni alla biodiversità e ridurre del 50% l’uso dei pesticidi. Ci è sembrato un buon inizio, il primo passo di un vero cambiamento, ma la realtà sta prendendo un’altra direzione. Nei corridoi di Bruxelles le lobby dell’agroindustria con discrezione, ma con grande efficacia stanno smontando le buone intenzioni dichiarate sino a ieri dai vertici della Commissione e in questa opera di demolizione di una possibile e nuova agricoltura si distingue la Ministra dell’Agricoltura italiana. Non è una sorpresa. Né il governo giallo – verde, né il governo giallo – rosso hanno fatto alcunché per cambiare verso alla nostra agricoltura. E non è un segreto che il partito Popolare europeo, i Socialisti e democratici e Renew Europe avrebbero già siglato senza troppo clamore un accordo sulla base di una massima a noi italiani molto nota : “tutto cambia, perché nulla cambi”. La PAC del futuro, dopo le tante rivoluzioni annunciate, secondo questo accordo dovrebbe essere nella sostanza quella del passato. Il Green deal europeo, il documento della commissione “ from farm to fork” , le richieste avanzate dalla Von der Layen su una nuova e più virtuosa agricoltura rischiano seriamente di finire nel cestino delle buone intenzioni.

Reiterare la politica pluridecennale della PAC non solo è ingiusto, non solo è una mortificazione del mondo contadino e un danno per i consumatori, ma rappresenta una grandissima contraddizione con tutta la narrazione che è stata fatta sulla crisi ecologica e sul cambiamento del clima anche da autorevoli vertici della politica e delle istituzioni.

Questa contraddizione è ancor ancora più acuta proprio in quegli “ambientalisti” che continuano ad ignorare il valore strategico della produzione agricola. L’industrializzazione dell’agricoltura ha contribuito e contribuisce molto a varcare quel confine fondamentale che è l’equilibrio eco – ambientale del Pianeta. In un bel testo delle Nazioni Unite sulla realizzazione di un territorio “net – zero carbonio” nell’area del delta dello Yang – tze in Cina , al quale ha lavorato il prof. Federico Butera, si indicano 10 confini fondamentali che debbono essere rispettati, se non si vuole ulteriormente compromettere la situazione climatica del Pianeta. La gran parte di questi punti critici sono strettamente collegati alle attività produttive del mondo agricolo. I quattro cicli fondamentali quello dell’acqua, dell’azoto, del fosforo e dell’anidride carbonica che sono alla base dell’equilibrio ecologico del Pianeta sono ipotecati dal sistema di produzione nell’agricoltura che influenza in profondità sia la biosfera e sia la biogeochimica. Si parla giustamente dell’economia circolare come la via maestra per recuperare i disastri ambientali di questi decenni, ma pochi sanno dell’importanza che avrebbe l’economia circolare se fosse applicata al “ciclo dei nutrienti” nella produzione alimentare. Attualmente i nutrienti ( fosforo e azoto ) contenuti nel cibo e decisivi per l’eutrofizzazione delle acque e per il microbioma del suolo solo per il 2% tornano al suolo dal quale provengono, mentre in campagna vengono sostituiti dai fertilizzanti chimici e si producono così gravi danni al suolo e al ciclo delle acque. Per cambiare questa realtà sarebbe necessaria una nuova e rivoluzionaria interazione fra centri urbani e aree rurali. Questione tanto importante, quanto antica e della quale si occupò più e più volte lo stesso Gramsci. Siamo in un’altra epoca, le contraddizioni hanno tutt’altra natura, pure il problema della relazione fra la città e la campagna conserva una sua straordinaria attualità.