Stefano Ciafani è il nuovo presidente di Legambiente. Prende il posto di Rossella Muroni, appena eletta in parlamento con Liberi e Uguali. «Rossella ha fatto una scelta di vita, siamo ben felici che sia stata eletta, ci darà una mano ma è solo una parlamentare su 945 mentre Legambiente è una storia che va avanti in piena autonomia».

Ciafani, lei è un ingegnere (ambientale). È strano vederne uno a capo di un’associazione ambientalista.
Legambiente da tempo è un’associazione che accanto all’ambientalismo sociale porta avanti un ambientalismo scientifico che si esprime in monitoraggi come “Goletta verde” non solo più sulle coste ma anche sulle acque depurate, i rifiuti a mare. La formazione del nuovo presidente dunque faceva già parte della linea di Legambiente.

Nel suo primo intervento ha parlato della centralità delle questioni ambientali nel mondo e dei ritardi dell’Italia. Secondo lei perché il nostro paese è così indietro?
Sul fronte governativo c’è un fortissimo ritardo culturale. Negli ultimi 15 anni la lotta al cambiamento climatico ha provocato svolte in Francia, poi con Obama negli Stati Uniti e ora in Cina con Xi Jinping. In Germania anche il centrodestra e le Grosse Koalition compresa l’ultima hanno messo al centro le politiche ambientali. In Italia invece abbiamo avuto il condono di Berlusconi (2003) e lo SbloccaItalia (2014) di Renzi. Per fortuna però l’ultima legislatura ha prodotto anche molte cose buone.

Avete notato un cambiamento reale?
Sì, l’ultimo parlamento è quello che ha prodotto più leggi ambientali, tutte nate da proposte parlamentari, non governative. Un record storico: l’ecoreati (i delitti ambientali che sono finalmente entrati nel codice penale), lo spreco alimentare, le microplastiche vietate nei detersivi e i cotton fioc solo biodegradabili. Tutte votate tutte da una maggioranza trasversale fra Pd, M5s e Sel».

Sta proponendo un’alleanza pro-ambiente per trovare una maggioranza e un governo nel nuovo parlamento che si insedia venerdì?
Nessuna proposta. Sappiamo benissimo che la legislatura che si apre ha un profilo di assoluta incertezza sul governo ma obiettivamente ha una maggioranza schiacciante di partiti attenti alle tematiche ambientali: M5s, Pd e Liberi e Uguali che hanno oltre il 60 per cento dei seggi. Il lavoro che faremo sarà quello di tessere la tela per costruire disegni di legge che possano essere sorretti da questa maggioranza. Sarà una sorta di pacchetto di mischia per portare avanti le nostre battaglie.

E quali sono le leggi su cui puntate?
La prima è senz’altro lo stop al consumo di suolo, nella scorsa legislatura approvata alla Camera e stoppata al Senato. C’è un intero patrimonio edilizio da mettere in sicurezza puntando sulla rigenerazione urbana. Accanto a questo c’è da combattere l’abusivismo edilizio: il ddl Falanga sulle demolizioni era sbagliato: la potestà va tolta ai sindaci, troppo esposti alle proteste degli elettori, e va data allo Stato attraverso le prefetture. Infine è necessaria una fiscalità ambientale: aumentare le royalty per le trivellazioni, i canoni per lo sfruttamento delle sorgenti di acque minerali e i costi delle concessioni per gli stabilimenti balneari.

Guardiamo al futuro: siete ottimisti sull’implementazione della Strategia energitica nazionale (Sen) e sulla mobilità elettrica?
Sulla Sen abbiamo un giudizio positivo ma l’ultima legge di bilancio va in controtendenza. Per avere una mobilità elettrica serve che tutti gli attori parlino la stessa lingua: auto e infrastrutture delle città e colonnine di ricarica devono essere compatibili.