La scrittura di Alice Sivo è analitica e precisa, a tratti quasi metallica per la sua ricerca ossessiva e continua di esattezza, ma al tempo stesso è messa al servizio di un disegno a mano libera, di un flusso capace di contemplare mondi diversissimi: oggetti e persone, luoghi e situazioni. Mangime in compresse per pesci tropicali (Racconti, pp. 166, euro 14) è un esordio luminoso nel panorama italiano perché coraggioso e a tratti sperimentale, ma senza alcun debito verso un’avanguardia nostalgica e senza pretese.

PER NON ESSERE romanzo e non essere una raccolta di racconti, il libro di Alice Sivo si deve basare su una voce forte che non gli manca di certo e che diviene la leva necessaria per dare corpo a una narrazione che ha nella lingua, come nella sua composizione, le qualità migliori. Infatti la loro combinazione (tra composizione e lingua) permette ai capitoli/racconti di divenire veri e propri movimenti interni di un discorso plastico e incantato. Una serie di «movimenti morali» che sembrano – seppure con uno sguardo estremamente contemporaneo e a tratti cinematografico e fumettistico – risalire la storia dai novellieri italiani.
La semplicità della storia che si sviluppa tra varie e multiple ramificazioni vive con l’intenzione di una perdita continua di centro. La fluidità vive in uno scorrimento continuo del senso e quindi dei protagonisti: cambiano il tono e il timbro della voce narrante, cambia la disposizione delle luci, muta radicalmente l’angolo da cui prende corpo lo sguardo.
E non è quindi per nulla peregrino il paragone con l’acquario, con la magia dell’acqua che tutto mette in primo piano e tutto deforma. Bruno, protagonista per certi versi suo malgrado, rappresenta appieno più che una generazione, un tempo che forse si vorrebbe fluido, ma che resta piuttosto trasversale.

UN’ETÀ DI MEZZO INFINITA con ai margini opposti infanzia e vecchiaia a richiamare insistentemente l’attenzione verso una felicità possibile, ma ai fatti ancora agguantata sempre e solo precariamente per mezzo della nostalgia. L’errore, il guaio e l’inciampo assumono le fattezze di un oracolo, l’occasione finalmente di una pausa. Nessuna riflessione è possibile, ma una presa di coscienza sì e anche il ristoro di un riparo. Mangime in compresse per pesci tropicali mostra una consapevolezza non ovvia e sicuramente non casuale, una narrazione meditata, ma al tempo stesso non perde il piacere di una forma di spontaneità ingenua proprio perché non esplicitata e mai volgarizzata. Bruno sembra il degno nipotino di Ciofanni, il padano disperso di Gianni Celati. Dal lunario all’acquario il passo è breve.