Sulla vicenda Expo il premier dichiara che intende fermare i delinquenti, non i lavori, e aggiunge bellicosamente che ci mette la faccia. Bene. Ma la domanda è: che altro ci mette?

Oltre vent’anni dopo tangentopoli il Corruption Perception Index 2013 di Transparency International ci pone al 68mo posto nel mondo, preceduti da Macedonia e Montenegro, e seguiti da Kuwait, Romania, Bosnia-Erzegovina. Inutile dire che ai primi posti troviamo Danimarca e Nuova Zelanda, Finlandia, Svezia e Norvegia. Non consola la constatazione che nel 2012 fossimo al 72mo posto, alla pari appunto con la Bosnia-Erzegovina, che abbiamo valorosamente superato. Eppure, il costo della corruzione per il sistema Italia è – secondo una stima – 60 miliardi di euro (all’anno). Se si riuscisse ad abbattere, altro che spending review e cancellazione del senato elettivo.

Nessun paese è, o potrà mai essere, totalmente immune dalla corruzione. La differenza è data dalla capacità di contenere stabilmente la malattia entro livelli minimi e complessivamente tollerabili. La corruzione è una malattia endemica che va tenuta sotto controllo. A questo fine non bastano gesti eclatanti quando lo scandalo devastante è già scoppiato.

Serve invece la capacità di mantenere alti gli anticorpi nel quotidiano agire di ogni struttura pubblica e di ogni sede in cui si assumono scelte rilevanti per la collettività. Che questo in Italia non accada ce lo dice autorevolmente – e periodicamente – la Corte dei conti, cui si aggiungono la stampa quotidiana e le cronache giudiziarie.

Per questo nessuna tangentopoli è di per sé risolutiva. La repressione è necessaria, ma il deterrente della sanzione non basta per la corruzione, come per qualsiasi altro reato. La prevenzione è invece vincente. Lo diceva già nel 2008 il rapporto GRECO – Gruppo europeo di Stati contro la corruzione, di cui l’Italia, nonostante tutto, fa parte – sottolineando tra l’altro la necessità di una politica generale anticorruzione, volta a favorire la prevenzione e la scoperta dei fenomeni corruttivi, la denuncia da parte di privati o pubblici funzionari, la trasparenza, la pubblicità e l’accesso agli atti. Potremo ricordare che il rapporto richiamava anche il rischio della prescrizione, e la necessità di prevedere incompatibilità con la carica pubblica nel caso di condanna per reati di corruzione.
Proprio a seguito della sollecitazione europea, l’Italia con la legge 116/2009 ha ratificato la Convenzione Onu anticorruzione (UNCAC) del 2003. È seguita la legge 190/2012 e decreti legislativi, come il decreto 235/2012 (Severino-Monti), portato a giusta fama dalla vicenda del condannato Berlusconi. Nel tempo, abbiamo avuto un Alto Commissario anticorruzione, poi sostituito da un Servizio Anticorruzione e Trasparenza (SAeT) presso il Dipartimento della funzione pubblica, e abbiamo ora una Autorità Nazionale Anticorruzione, presieduta da Raffaele Cantone, persona degna di stima e apprezzamento. Dunque, tutto risolto? Vivremo in un paese decente e civile?

Vorremmo che bastasse, ma non sarà così. Per l’Expo, essendo ormai pienamente in campo la magistratura, bisogna essere cauti, ed evitare soprattutto complicazioni e ritardi per l’inchiesta. Piuttosto, e per il futuro, perché non si pensa a raddrizzare la normativa anticorruzione, che vide un forte contrasto tra quelli che sono oggi compagni di strada del governo?
La lettura degli atti parlamentari e della stampa sulla legge 190 e sulla legge Severino può offrire ampi spunti. Perché non si affronta il problema del whistleblower, che dall’interno di una amministrazione solleva l’allarme sul malaffare e la corruzione? Secondo la letteratura internazionale è fondamentale nella lotta contro la corruzione, ma nella nostra cultura burocratica viene considerato poco più che un delatore. Perché non si riflette sul come giungere a strategie anticorruzione cogenti per le amministrazioni regionali, oggi coperte da una autonomia organizzativa costituzionalmente protetta? Qui una riformetta ad hoc non farebbe male. E perché infine non si pensa a vitaminizzare la stessa Autorità anticorruzione, che in un recente rapporto (9 aprile 2014) al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione mostra tutta la sua debolezza, nel rapporto con il Dipartimento della funzione pubblica? Unicuique suum è il vangelo di ogni amministrazione pubblica italiana.

Ha ragione Gherardo Colombo quando dice su queste pagine che combattere la corruzione è anzitutto una questione di cultura. Aggiungiamo, politica, civile, amministrativa. Autocontrollo severo della politica, controllo della pubblica opinione, contrasto a clientelismo e favori, best practices amministrative, e solo alla fine occhiuta vigilanza giudiziaria. Le norme aiutano, non risolvono. Vedremo cosa potrà fare un governo che trova tra gli aspiranti co-padri della patria alcuni tra i più forti frenatori nella lotta contro i fenomeni corruttivi.

La corruzione si combatte giorno per giorno, in ogni luogo in cui si gestisce la cosa pubblica. Una buona occasione per Renzi. Se ci mette la faccia, potremo vederlo sempre, e dovunque.