La pandemia rischia di falsare la qualificazione ai mondiali di calcio che si terranno in Qatar nel 2022. A fare le spese sono le nazionali dei paesi dell’America Latina, soprattutto Brasile, Argentina, Uruguay, e in minor misura Colombia, Cile, Messico ricchi di talenti attratti dai club europei, che garantiscono loro contratti faraonici.
Se il ct della Nazionale Roberto Mancini dispone dei calciatori più in forma del campionato per intraprendere il cammino di qualificazione verso i mondiali, iniziato giovedì contro l’Irlanda del Nord, mentre domani gioca contro la Bulgaria, per concludere mercoledì 31 marzo a Vilnius contro la Lituania, non altrettanto possono fare gli allenatori delle nazionali dell’America Latina, che si vedono trattenere i loro migliori calciatori in Europa.

FIFA Covid
Alcune settimane fa è stato l’allenatore del Manchester City Pep Guardiola a muovere il primo passo, vietando ai calciatori brasiliani del club inglese di raggiungere il Brasile, per disputare gli incontri di qualificazione della nazionale verdeoro in vista dei mondiali dell’anno prossimo. Il motivo è dettato dal fatto che l’attaccante Gabriel Jesus e il portiere Ederson Moraes al ritorno dal Brasile avrebbero dovuto sottoporsi alla quarantena a causa del rischio di Covid e questo condizionerebbe i risultati del club. Sulla scia si sono inseriti rapidamente altri club inglesi, tedeschi e spagnoli.

La Federcalcio francese ha impedito a tutti i calciatori extracomunitari di lasciare l’Europa. La Fifa, il massimo organo del calcio mondiale guidato dall’italo-svizzero Gianni Infantino, dopo i primi momenti di incertezza si è accodato alle decisioni dei più potenti club del calcio europeo e di fronte alle proteste della federcalcio del Brasile, che denunciava il pericolo di risultati falsati per la mancanza di calciatori impropriamente trattenuti in Europa, ha deciso di sospendere le partite di qualificazioni che si sarebbero svolte in America Latina in questi giorni. Si svolgeranno tra settembre e ottobre, ha deciso Infantino, quando però in Europa, quegli stessi club che oggi impediscono agli assi brasiliani di giocare in Nazionale, riprenderanno il campionato di calcio ed eserciteranno nuove pressioni.

Il nuovo ordine
Ora che la pandemia ha oscurato il pubblico, relegandolo davanti ai televisori di casa, e ha cancellato ogni emozione dal vivo sugli spalti, in nome della sicurezza sanitaria, emerge con chiarezza che nel nuovo ordine mondiale, il calcio dei club europei è diventato supremazia, e le varie nazionali, soprattutto dell’America Latina e dell’Africa, dovranno soggiacere ai loro interessi. Da qualche tempo il calcio è diventato il terreno di scontro dei principali gruppi del capitalismo mondiale, che nei più grandi club del calcio europeo hanno trovato l’occasione per affermare il proprio prestigio.

No party
In nome della «emergenza sanitaria» questi club stanno enormemente limitando i diritti dei loro calciatori, e parafrasando Foucault, potremmo dire che coloro i quali si servono del pretesto della sicurezza, sfruttano l’eccezione per dirigerla. In Brasile, quella stessa stampa che in questi giorni ha ferocemente puntato il dito contro le decisioni dei club europei di impedire ai calciatori brasiliani di giocare nella Nazionale verdeoro, plaude alla decisione di una società di serie A di sospendere due calciatori per aver partecipato a una festa privata.
Il pretesto è un passo della legge nazionale sullo sport, più nota come Legge Pelè: «Ogni giocatore ha l’obbligo di preservare la condizione fisica, che gli consente di partecipare alle competizioni nelle migliori condizioni per non compromettere i risultati della squadra». Questo passo dal momento dell’approvazione non ha mai fatto testo, me è stato tirato fuori dal cassetto recentemente e applicato in nome della sicurezza sanitaria dovuta al Covid 19.

La logica ipocrita è sempre la stessa, come ci dicono che di fronte al terrorismo è necessario sospendere la libertà per difenderla, così pure i padroni del calcio, a qualunque latitudine, sospendono le libertà dei propri giocatori, per non compromettere il risultato. Innanzi a questo strapotere, si è levata solitaria in Brasile la voce dell’esperto di diritto sportivo Vinicius Louriero, che denuncia il grave attacco ai diritti e alle libertà dei calciatori.
Al di là delle coraggiose e solitarie sortite, questi segnali sono l’espressione di un forte cambiamento in corso nel calcio mondiale.

Il modello dei club che garantivano denaro e diritti, compreso quello di consentire ai calciatori di giocare nelle nazionali di appartenenza (si pensi ai tanti calciatori africani che lasciano i club europei per circa un mese per partecipare alla Coppa d’Africa a fine gennaio), mai messo in discussione fino a oggi, sta cedendo il passo a un nuovo dispotismo in cui le limitazioni delle libertà, sembrano essere accettate dai tifosi e dai cittadini appassionati di calcio con certa naturalezza in nome del risultato.

Nuovi stadi
Il «distanziamento sociale» al quale ci hanno abituati in un anno di pandemia ha consentito di abbassare la guardia e di far passare la violazione dei diritti, come difesa del risultato della squadra del cuore. Una nuova politica verso cui in tanti plaudono. Il distanziamento sociale sperimentato in questo anno, ha spinto alcuni superclub europei dei grandi gruppi del capitalismo mondiale, alla considerazione che, conti alla mano, si può fare a meno degli introiti del pubblico. Ad architetti di fama mondiale hanno chiesto di progettare nuovi stadi, non in vista di altre pandemie, ma per pochi ricchi e con tanti comfort.

I primi ad essere espulsi saranno gli ultras, i più chiassosi, i poveri, gli straccioni, che resteranno confinati nei loro quartieri periferici, alla ricerca di emozioni pari al loro grado e degrado sociale. Se proprio non riusciranno a fare a meno, potranno guardare il calcio di provincia verso cui scivolerà sempre più la sfera di cuoio, che ancora per poco rotolerà sui rettangoli verdi di alcune piccole e medie squadre di serie A.