La città santa, Gerusalemme, e le sue molte facce in apparente contraddizione tra di loro: la comunità chassidica, la fede, ma anche attività mondane come la street art o la vita notturna. Sfumature e contraddizioni di un luogo raccontate da cinque diversi cortometraggi documentari di altrettanti giovani registi in Travelers, presentato a Roma al Pitigliani Kolno’a Festival che si è appena concluso giovedì scorso.

Outsider, il corto di Anna Kiràly che apre il documentario segue per le strade di Gerusalemme un ragazzo che ha abbandonato la comunità ultraortodossa ed è ora «nel mondo»: la stessa città in cui è nato e cresciuto – ma senza il guscio protettivo di una rete sociale, acquisita per nascita. Alle sue paure su come affrontare un mondo nuovo con l’angoscia di restare solo seguono invece dei cortometraggi che raccontano proprio gli aspetti più «terreni» e vivaci di Gerusalemme – lo storico mercato Machane Yehuda ad esempio, che si offre alle riprese di Tal Aharonov in HaMavdil con la fotogenia – i colori, i rumori, la varietà umana – tipica di ogni mercato. Al confine tra notte e giorno si cominciano ad allestire i banchi: tra i venditori c’è anche chi ricorda ancora le fattezze del mercato nel ’48, e chi lamenta un mondo ormai fatto di centri commerciali che mettono a rischio la sopravvivenza del mercato stesso. Ma la notte i banchi di ortofrutta, formaggi o caramelle vengono sostituiti da locali dove si beve, si balla e si concentrano i turisti venuti a visitare la città – il «futuro» che in questo caso viene in soccorso alla sopravvivenza di un’istituzione storica di Gerusalemme.

Lontano da Israele ci porta invece un altro doc presentato al Pitigliani – Invisible in Mosul del reporter Itai Anghel: unico giornalista israeliano ad aver documentato la guerra in prima linea con l’Isis. La Golden Division – squadra d’elite dell’esercito iracheno – lo porta infatti con sé sulla linea del fuoco, dove si contende palmo a palmo ogni strada della città: «Speriamo non scoprano che sono israeliano», dice Anghel delle sue «guide» nel cuore del conflitto. Nella vocazione del doc e del suo autore a testimoniare la guerra restano però tra le righe gli aspetti in potenza più interessanti del film, come la possibilità di interrogarsi proprio sul rapporto del regista con le truppe irachene – a cui deve affidare la sua vita ma anche nascondere la sua identità.