Fiona Gordon è australiana, Dominique Abel è belga. Non sono giovanissimi di età, ma hanno uno spirito ancora invidiabilmente giovane. Sono una coppia artistica da tempo, lavorano sia in ambito teatrale che cinematografico scrivono, dirigono, interpretano loro stessi le stravaganti elaborazioni che creano. Come questo I misteri del bar Etoile, loro quinto lungometraggio di fiction, primo diretto da soli, gli altri erano stati realizzati con la complicità di Bruno Romy che qui appare solo come interprete.

IMPOSSIBILE codificare questo racconto che strizza l’occhio a una sterminata serie di rimandi cinematografici. In ambito comico si scomodano Chaplin e i Marx, gli scenari ricordano quelli di Kaurismäki con personaggi solo più folli, su tutto aleggia il noir con tanto di detective dotato di impermeabile, scioperi vari compreso quello dei bus che vengono immaginati eretti sulle ruote posteriori ostentando cartelli, e ancora coreografia, balletti estemporanei e musiche con alto tasso di improbabilità, pari solo all’efficacia narrativa e al piacere che sono in grado di evocare. Raccontare anche solo vagamente la trama è un’impresa. Diciamo che L’etoile filante è il nome di un bar gestito dalla coppia Kayoko e Boris con il gigantesco Tim a far da buttadentro. Un giorno entra nel bar un uomo che ordina una birra e al grido di «io so chi sei» tenta di sparare a Boris. Solo che ha un braccio artificiale che si stacca fumante con tanto di pistola annessa e dita finte ancora in movimento. Fatto che lo costringe a fuggire non prima di avere minacciato di tornare per ottenere giustizia. Sul bancone è rimasto un giornale e si scopre che Boris un tempo era un bombarolo, ora in disarmo. Tocca trovare un alias per sostituirlo a Boris e viceversa.

Viene così scovato Dom, depresso e stralunato quanto basta, disoccupato che si occupa del suo orto, solo con un cane, ma identico all’ex terrorista. Con tanto di moglie separata, alcolista e detective privato che forte della sua professionalità intuisce che qualcosa non quadra quando succedono cose strane.
Siamo nel campo del grottesco esasperato. Tanto per esemplificare quando incontriamo Dom sta inseguendo a piedi una coppia in motorino che lo ha appena scippato. La detective viene assunta per cercare un cane scomparso. Le sequenze di vestizione del nuovo Boris sono un folle fantastico balletto, orchestrato da Kaori Ito, che interpreta la compagna di Boris, ma che in realtà è una nota coreografa, chiamata anche a dare respiro all’irresistibile Rumble di Link Wray. Quel che più stupisce di questo spassoso delirio cinematografico sta proprio nel prendere frammenti di realtà, anche aspra, per rivoltarli e trasformarli in altro da sé. Abbiamo tensioni sociali, disoccupazione, morti premature, un passato da terroristi, un uomo malridotto per un vecchio attentato, eppure tutto diventa occasione per una proposta di leggerezza. E di questi tempi non è poco.

Presentato allo scorso festival di Locarno, il film della stravagante coppia non è stato «la bomba» che ci si poteva aspettare. Forse troppo paludato il pubblico svizzero, poco incline al divertissement a tratti irriverente, il lavoro di Gordon e Abel è passato senza farsi troppo notare. Eppure è il segno di una vitalità bizzarra che a tratti il cinema belga è in grado di proporre, viene in mente Dio esiste e vive a Bruxelles (dove operano anche i nostri squinternati del bar Etoile) di Jaco Van Dormael con protagonista Benoît Poelvoorde, che aveva esordito col magnifico Il cameraman e l’assassino di Rémy Belvaux. Giusto per citare alcuni titoli a riprova del fatto che si tratta di una cinematografia vivace, capace di praticare il rigore come quello dei Dardenne o di affrontare la diversa complessità anche erotica di Irina Palm di Sam Garbarski. E sicuramente facciamo torto a tanti altri.

DI SICURO la strada intrapresa dalla coppia Abel e Gordon (quasi una marca di Whisky) è tra le più inconsuete nel panorama del cinema recente, però aiuta a sopportare tutti i drammi e le tragedie del mondo contemporaneo, magari semplicemente attraverso un girasole talmente lungo da non riuscire a rimanere all’interno di un’automobile o forse perché, alla fine, come si diceva una volta «sarà una risata che vi seppellirà».