Sono andate in fiamme 40 chiese in Egitto, sei delle quali ad Assiut. È completamente bruciata la chiesa copta Mar Girgis, le chiese dei villaggi di Abutic e al-Qufeya. Nell’occhio del ciclone per questi incendi le associazioni universitarie gamaat al-islamyya. Abbiamo raggiunto al telefono lo sheykh della moschea Abu Bakr El-Seddek, Hussein Abdel Aal, uno dei politici più in vista del movimento. Proprio in questo gruppo la polizia ha identificato i responsabili degli incendi ma le gamaat – responsabili di numerosi attentati negli anni Ottanta e tra gli ideatori dell’assassinio del presidente Sadat – negano. L’uso della violenza ha prodotto una relazione ambigua con gli islamisti moderati della Fratellanza, impegnati già negli anni Ottanta, ad adottare una visione pragmatica della partecipazione politica. Dopo le rivolte del 2011, le gamaat sono tornate a fare politica legalmente. Hussein Abdel Aal è esponente della Shura (Comitato centrale) del movimento radicale, è entrato in politica nel 1984 e ha passato 15 anni in prigione (in dieci diverse carceri) dal 1991 al 2006 senza nessuna accusa.

Chi ha bruciato le chiese di Assiut? E cosa pensa dello sgombero di Rabaa?
È opera di criminali legati alla Sicurezza di Stato. Non è questo il nostro modo di operare. Dagli anni 90 rifiutiamo la violenza. Lo sgombero di Rabaa è opera di mostri, un crimine di guerra. In nessun altro paese si possono uccidere così persone inermi.

Qual è la posizione delle «gamaat» in merito al golpe militare?
Le gamaat sono contrarie al golpe e all’operato dei leader delle Forze armate, in particolare di Sisi (ministro della Difesa, ndr): è un doppio-giochista, non si è mai espresso chiaramente con la nostra parte politica. Perciò dobbiamo continuare a occupare le piazze. Anche se i militari ci attaccano, gli islamisti continueranno a gridare al mondo il diritto di Morsi a tornare al suo posto.

Svolgeva attività politica prima del 25 gennaio 2011?
Con i miei compagni di movimento, abbiamo provato costantemente a entrare in politica, ma il regime di Mubarak lo ha sempre impedito, adducendo come motivazione la questione della lotta armata. In realtà hanno voluto bloccarci, per esempio uccidendo negli anni Novanta a Giza il nostro portavoce, Alaa Maheddin. Tenendomi chiuso in carcere senza accuse per 15 anni, mi hanno proibito di fare politica. Nonostante ciò ho concluso i miei studi sostenendo gli esami in prigione. Non è finita qui, mi hanno impedito di insegnare dopo il mio rilascio fino alla rivoluzione del 25 gennaio 2011. Tra 2006 e il 2011 ho lavorato in industrie tessili al Cairo. E nel frattempo mi occupavo di proselitismo islamico, senza fare politica, tenendo le mie prediche in varie moschee tutti i venerdì.

Cosa è cambiato dopo le rivolte? E qual è ora la posizione delle «gamaat»?
Dopo la rivoluzione mi è stata concessa libertà di espressione. Con i miei compagni abbiamo formato il partito Binaa w Tammiyya (Costruzione e sviluppo) e abbiamo conquistato 4 seggi alle elezioni parlamentari. Apparteniamo alla stessa corrente del partito salafita El Nour (Luce), tra noi ci sono differenze politiche ma non religiose. Per esempio, loro si sono schierati con l’esercito, noi con i Fratelli musulmani. Ci riferiamo a un’interpretazione più restrittiva della legge islamica rispetto ai salafiti. Per migliorare la vita di tutti ci sono due vie: la politica e la religione, l’una è all’origine dell’altra e sono entrambe mutualmente importanti, per questo non si può fare a meno della partecipazione politica.

Cosa pensa delle polemiche per la scarcerazione di Abud al-Zumar? L’esponente delle gamaat e ex colonnello dell’Intelligence militare ha scontato l’ergastolo (pari a 25 anni in Egitto) per coinvolgimento nell’assassinio di Anwar al-Sadat.
Scontata la pena non potevano far altro che rilasciarlo.