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Måneskin, se il rock ’n’roll val bene una messa

Al cospetto della musica dei Måneskin non si sa mai cosa aspettarsi. Un turbinoso concentrato di rimandi alla vecchia scuola del rock anni settanta, dove le citazioni spesso e volentieri sono – a detta di alcuni – paragonabili a simil plagi.

Invidia? eccessi snob? Quel che è certo, è che il quartetto romano nel giro di un paio di stagioni è riuscito là dove nessuna altra band – o solista – del belpaese era mai riuscito in precedenza: conquistare un’audience mondiale arrivando perfino nell’inavvicinabile patria del pop rock mainstream per eccellenza, gli Stati uniti.

Due anni – al netto della pandemia che ha fermato tutti – passati in giro per il pianeta eclissandosi in estenuanti tour de force live alternando sedute in case studio – proprio per evitare l’asetticità degli studi di registrazione – tra Los Angeles, Roma e Tokyo dove dar corpo al loro nuovo progetto discografico.

Il loro quinto lavoro, Rush, è in uscita venerdì 20 gennaio per i tipi di SonyMusic in differenti versioni fisiche (vinile, bianco rosso, special box sets, cd,) e digitali. Un frenetico marketing che rende l’idea di come quel gruppo di sbarbatelli che si esibivano furtivamente per le vie della capitale, si sia trasformato in un brand dall’organizzazione ferrea e meticolosa.

MA IL BULIMICO Rush fitto fitto di diciassette tracce – in realtà è molto meno trendy di come ci si aspettava. Certo nulla è lasciato al caso a partire dalla produzione, affidata a Fabrizio Ferraguzzo e soprattutto a Max Martin, il producer svedese che sta dietro a molti successi dei Coldplay, Taylor Swift, Maroon 5, Week’nd, ma il quartetto capitolino evita la trappola di suoni levigati o eccessivamente radio friendly.

Rush ovvero di corsa, di fretta– dalla curiosa copertina virata in rosso con una modella svolazzante sopra la band – è un concentrato di suoni e citazioni – croce e delizia di Damiano & co, irrobustiti – questo sì – da una produzione sonora a livello internazionale.

I pezzi ci sono tutti così come un afflato melodico che li rende completi e sostanzialmente diversi, anche se è soprattutto la sezione ritmica a rendere potente l’insieme.

I PEZZI ci sono tutti così come un afflato melodico che li rende completi e sostanzialmente diversi, anche se è soprattutto la sezione ritmica a rendere potente l’insieme. Alternanza di generi, dall’impeto punk di Kool Kids, più furba che ingenua, all’enfasi di ballate energetiche come The Loneliest, Timezone o alle più spavalde incursioni nel rock’n’roll che caratterizzano Don’t wanna sleep e Bla bla.

In un disco inevitabilmente cantato in inglese, i Måneskin impongono però la presenza di tre brani in italiano: La fine, Il dono della vita e in particolare Mark Chapman, dove il racconto della follia dell’assassino di John Lennon diventa metafora della caducità del divismo rock. Una consapevolezza che dimostrano nei live set e nelle performance tv che gli hanno permesso di mettersi in contatto con uno stupefatto Tom Morello, che ha voluto impreziosire con un assolo il finale della conturbante Gossip.

Potenza, immagine ma anche capacità di destreggiarsi sui social con un evento di presentazione sponsorizzato dalla piattaforma streaming per eccellenza, che li vedrà protagonisti domani sera a Palazzo Brancaccio a Roma, per un «misterioso» matrimonio.

Intanto, il Loud Kids World Tour, partito ad ottobre scorso con tappe in Nord e Centro America, Canada, ripartirà a febbraio in Europa e nei palazzetti italiani, per concludersi con quattro speciali date-evento allo Stadio Olimpico di Roma, il 20 e 21 luglio, e allo Stadio San Siro di Milano, il 24 e 25 luglio. Per i concerti del 2023 sono stati già venduti 500mila biglietti.