Tutti i veri fan indossano le loro maglie del cuore. E così hanno fatto anche Stefano Pontecorvo e Bruno Frattasi che venerdì scorso si sono fatti fotografare alla convention di Fratelli d’Italia, a Pescara, con la maglietta del partito con lo slogan della campagna elettorale «L’Italia cambia l’Europa». Un segno di appartenenza plateale perché i due non sono anonimi militanti ma rispettivamente presidente di Leonardo (Pontecorvo) e capo dell’Agenzia per la Cybersicurezza (Frattasi). I massimi dirigenti della sicurezza, partecipando a un panel sulla «politica estera comune e la difesa della libertà europea» con il ministro Guido Crosetto e Giulio Tremonti e Isabella Rauti, si sono fatti prendere dal tifo, senza timore di abbandonare la terzietà istituzionale che il loro particolare e delicato incarico comporta.

Il modo davvero inusuale con cui hanno ringraziato la premier per le loro nomine ha fatto saltare sulla sedia le opposizioni. Un episodio «gravissimo» per il Pd che per bocca del senatore Alberto Losacco, componente dell’Assemblea parlamentare Nato, parla dell’accaduto come di «un’anomala e una pericolosa sovrapposizione tra sfera politica e istituzionale, impensabile in qualsiasi contesto democratico». Per Angelo Bonelli di Avs si tratta dell’ennesima prova di come «Giorgia Meloni stia trasformando lo Stato in una succursale di F dI e questo è un problema serio dal punto di vista democratico» e «conferma la svolta autoritaria nel nostro Paese», ha detto annunciando un’interrogazione alla premier. Lo stesso farà persino Iv: «Vogliamo capire come una così grave stortura sia stata possibile – ha detto il renziano Borghi – le prese di posizione di Frattasi e Pontecorvo a favore di Fdi sono l’ennesimo brutto segnale di una campagna elettorale in cui sembra smarrito il rispetto della più elementare grammatica istituzionale».

C’è da dire che non è la prima volta che Leonardo gioca di sponda con il governo di destra. Solo una settimana fa, l’ad del colosso della difesa Roberto Cingolani aveva annunciato la sospensione degli incontri nelle università per presunti motivi di sicurezza. Cingolani aveva anche raccontato di attacchi verbali verso gli ingegneri del gruppo industriale «da parte di manifestanti che hanno espresso il loro dissenso in maniera riprovevole». Il fatto sarebbe accaduto nell’Università di Palermo e non era stato denunciato alle forze dell’ordine ma è servito alla ministra dell’Università Bernini e a quello dell’interno Piantedosi per rilanciare la necessità di un comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza sulle proteste universitarie che non riguardano solo il bando Maeci di collaborazione con Israele ma anche la compenetrazione tra ricerca italiana e industria bellica.

La mobilitazione di docenti e studenti, supportata da una campagna dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, chiede ormai da mesi ai rettori di dimettersi da ogni ruolo nella fondazione di Leonardo Med-Or, presieduta da Marco Minniti, altro assiduo frequentatore delle kermesse di Fdi. Nonostante il disagio di molti docenti che non condividono il rapporto ormai distorto tra ricerca a scopo civile e quella a scopo militare, così come stabilito dal Piano nazionale della ricerca militare (Pnrm), il Pnrr delle armi che ha come obiettivo «l’incremento del patrimonio di conoscenze della Difesa nei settori dell’alta tecnologia», sono molto pochi i rettori che hanno aperto una riflessione. Quello dell’Università di Bari Stefano Bronzini ha lasciato Med-Or a marzo mentre Matteo Lorito della Federico II di Napoli ha dichiarato che sta «valutando le sue dimissioni».

I docenti però continuano a mobilitarsi: dopo la lettera alla rettrice Polimeni firmata da oltre 2500 professori e studenti della Sapienza a Torino è partita una iniziativa analoga. Secondo quanto riporta Corriere Torino, almeno 100 tra docenti e ricercatori del Politecnico avrebbero scritto una dura lettera al rettore Corgnati dopo le cariche contro gli studenti del 23 aprile scorso. Nel testo viene espressa preoccupazione per «l’atteggiamento autoritario sostenuto dall’impiego di forze di sicurezza e armate» e per la mancanza di confronto che lede «l’autonomia delle sedi universitarie». «Il ricordo dell’impegno degli accademici che non sottoscrissero la fedeltà al regime fascista e per questo furono rimossi non è scomparso – si legge – e non ci riconosciamo in una comunità accademica in cui decisioni di silenziosa obbedienza al volere del governo piegano la quotidianità della vita». Il rapporto tra il Politecnico e Leonardo è quello più complicato. L’ateneo ha diverse collaborazioni di ricerca con l’industria bellica, anche dual use e gli studenti sono decisi a contestarli. Il 7 maggio saranno in presidio sotto il senato accademico.