I luoghi della Resistenza parlano, esprimono una forza simbolica che rievoca fatti, contesti, persone azioni e «motivi della storia». E di rado come in questi anni di crisi pandemica le celebrazioni del 25 aprile hanno assunto di nuovo quell’immagine evocativa disegnata dall’orazione di Piero Calamandrei che nel 1955 invitava i giovani al pellegrinaggio sui luoghi della lotta partigiana per scoprirvi il senso della Costituzione repubblicana.

La visita non rituale, nell’anniversario della Liberazione, del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel quartiere del Quadraro a Roma, rastrellato dai nazifascisti il 17 aprile del 1944 in quanto «nido di vespe» partigiano, colloca nella geografia storica nazionale (ridisegnata negli anni Novanta grazie alle inchieste di Franco Giustolisi e alle indagini di Antonio Intelisano e Marco De Paolis sull’«armadio della vergogna» delle stragi nazifasciste) un evento della guerra totale che investì la capitale, ma soprattutto sottolinea un’espressione antifascista propria di quei ceti popolari urbani che rappresentò la condizione di sopravvivenza della Resistenza armata in città dei Gruppi d’Azione Patriottica comunisti, socialisti e azionisti e delle formazioni del Movimento Comunista d’Italia, più noto come «Bandiera Rossa».

Nella sede di via Tasso, ieri lugubre sito di tortura nazista oggi Museo Storico della Liberazione, il Presidente del Consiglio Draghi ha ricordato che non tutti gli italiani furono «brava gente», tanto durante il ventennio fascista quanto durante la guerra mondiale, proponendo una distonia nel discorso pubblico che se raccolta potrebbe servire al superamento della narrazione autoassolutoria che il Paese e le istituzioni hanno pervicacemente coltivato per decenni al fine di eludere i conti con il proprio scomodo passato.

L’Anpi dal canto suo ha costruito una mappa dei luoghi che ricordano le donne e gli uomini della Resistenza con l’iniziativa della posa di un fiore in tutta Italia che ha dato ancora una volta all’antifascismo il senso di una radice storica diffusa, indicando contestualmente la necessità di avvalersi di quel portato valoriale in un momento di transizione critica della società contemporanea globale.

In questo modo le strade e le piazze, ridotte per necessità nel numero di persone presenti, si sono rivelate piene della virtù costituente ovvero dell’unica risorsa disponibile affinché questa crisi di sistema non travolga i luoghi e i saperi della storia e con essi le classi popolari che gli hanno dato vita: «E allora voi capite da questo – chiosava Calamandrei- che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma». Da rendere concreto oltre le parole.