Sull’edizione online di Porta portese è stato pubblicato questo annuncio: «Smarrito teatro bene comune del 1727, quattro ordini di palchi, velluto, zona Sant’Andrea della Valle, 10 agosto ore 8 circa, grande valore affettivo. Chiunque lo ritrovasse, lo restituisca al pianeta terra. Esclusi comune e teatro di Roma». Più di tanti altri, questo è un dettaglio rivelatore di una sensazione diffusa nelle ultime ore: la perdita di uno spazio «di tutti» a favore del possesso esclusivo del «pubblico statale».

Riuniti in una nuova assemblea cittadina ieri pomeriggio, gli attivisti e i soci della fondazione del teatro Valle hanno elencato le condizioni imposte dall’assessore alla cultura di Roma Capitale Giovanna Marinelli e dal teatro di Roma presieduto da Marino Sinibaldi. Alla fondazione non verrà riconosciuta alcuna autonomia gestionale o artistica; il Campidoglio non accetterà alcun rinvio alla scadenza del 10 agosto strappata dagli occupanti alle istituzioni ispirate dal ministero dei beni culturali che avevano imposto l’aut-aut del 31 luglio.

Sui lavori di messa a norma o di restauro del Valle, argomento che ha preparato la tagliola («uscite» o «vi sgomberiamo»), non è stata ancora fatta chiarezza. Si sa solo che la Soprintendenza di Stato entrerà al Valle lunedì 11 agosto per effettuare i sopralluoghi. I lavori potrebbero durare un mese o anche anni. Su questo punto non ci sono certezze. L’ambiguità ha generato una «narrazione tossica», così la definiscono al Valle, che spinge il Campidoglio a cercare consenso senza chiarire il problema.

Dall’incontro di giovedì con Marinelli e Sinibaldi è emerso che il teatro di Roma, un’associazione che gestisce il teatro Argentina e l’India, concederà alla fondazione uno spazio per alcune attività all’interno della stagione decisa dal direttore artistico Antonio Calbi. Una lettera inviata ieri da Roma Capitale al teatro di Roma ha rivelato l’esistenza di un protocollo d’intesa tra il ministero dei beni culturali e il Campidoglio che conferisce la gestione del Valle al teatro di Roma. Sempre che al Valle non resti nessuno da lunedì. Alla fondazione del Valle è stato proposto di firmare una «lettera di intenti» con la promessa di incontrarsi a settembre, dopo le vacanze della controparte, per definire una «convenzione». In queste ore si chiarirà se la fondazione la firmerà.

Tra gli attivisti ci sono differenti punti di vista, ma quello che ieri sembrava essere acquisito era l’insoddisfazione per le condizioni imposte. Ciò che risulta indigeribile è l’intenzione di acquisire il senso di un’esperienza fortemente simbolica, riconosciuta a livello internazionale, che unisce arte e attivismo politico nel concetto astratto di «teatro partecipato». «Un tentativo impossibile – è stato detto in assemblea – Questo non è il risultato di un programma ministeriale, ma un’eccedenza prodotta dalle relazioni e dalle azioni delle persone che si incontrano. Le istituzioni hanno perso un’occasione».

Nel frattempo si continua a discutere se resistere o lasciare il teatro. L’uscita potrebbe anche avvenire con modalità imprevedibili e d’impatto. E si continuerà a lavorare al riconoscimento della fondazione: «Può essere costituita in autonomia e si muoverà nei network culturali transeuropei».

Infine è stato vanificato il tentativo estremo di rinviare la trattativa in autunno. L’assessore Marinelli ha rispedito al mittente l’appello sottoscritto, tra gli altri, dall’ex ministro della Cultura Massimo Bray, Pippo Civati, Salvatore Settis, Tomaso Montanari, Paolo Maddalena, Ugo Mattei e Christian Raimo: «Ai ragazzi del Valle abbiamo dato l’opportunità di proseguire la loro esperienza. Mi sembra che concordiamo tutto – ha detto Marinelli – È molto importante che il Valle sia ricondotto in un quadro di legalità».

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