Ieri mattina erano deserte le strade di Grand Bassam – località a circa 40 Km a est della capitale commerciale Abidjan – di solito gremite per lo più di ambulanti, turisti e tanti ivoriani.
A fare su e giù per le spiagge c’erano solo i soldati governativi impegnati a pattugliare l’area. Armati di fucili d’assalto sono stati impiegati per fare le prime domande al personale di alberghi e ristoranti. Il giorno prima corpi insanguinati giacevano sulla sabbia, dopo che un commando di uomini armati di kalashnikov aveva sferrato un attacco contro tre alberghi di lusso, aprendo il fuoco sui bagnanti.

Secondo quanto riferito dal ministro dell’Interno ivoriano Hamed Bakayoko il bilancio, mentre scriviamo, sarebbe di almeno 18 vittime, di cui 15 civili di diversa provenienza (Burkina Faso, Camerun, Francia (4), Germania e Mali) e 3 membri delle forze speciali di sicurezza, e di 33 feriti (19 civili e 3 soldati). Mentre sarebbero 3 i terroristi uccisi durante gli scontri con le forze di sicurezza.

«La città è sotto shock», ha raccontato al manifesto Alessandro Rabbiosi di Terres des Hommes. «L’ospedale di Grand Bassam sta allestendo un’unità di ascolto per dare sostegno psicologico e Terre des hommes sta collaborando. Ero a 200 metri da lì, domenica, continua Rabbiosi, ho sentito i colpi d’arma da sparo e poche ore dopo l’arrivo dei soldati ivoriani». Grand Bassam «è una città molto carina e affascinante, zona di passaggio per molti turisti. Ma non un posto frequentato da soli ricchi o occidentali. Qui ci vengono tutti a fare il bagno, turisti e ivoriani di ogni ceto. È un po’ la Ladispoli della Costa d’Avorio. Secondo me non si è trattato di un attentato contro gli occidentali in senso stretto, bensì di un attacco alla vita normale». L’attentato è stato rivendicato dal gruppo terroristico Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim) con un messaggio in quattro lingue (arabo, inglese, francese e spagnolo) sull’account twitter e sull’app di messaggistica Telegram.

Si tratta dello stesso gruppo qaedista corresponsabile con al-Murabitoun degli attacchi al Radisson Blue hotel di Bamako in Mali dello scorso novembre 2015 e di quelli contro il bar ristorante «Il Cappuccino» e lo Splendid Hotel a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso di gennaio 2016. Si tratta del primo attacco jihadista in Costa d’Avorio e – stando alle prime testimonianze – la dinamica ricorda quella dell’attentato a Sousse in Tunisia del 26 giugno 2015 (quando i morti furono 38).

«Questi attacchi terroristici possono accadere ovunque, in qualsiasi momento. Abbiamo dimostrato che abbiamo la capacità di contenere i danni che ne possono derivare», ha dichiarato il capo dello stato ivoriano Alassane Ouattara, recatosi sul posto poche ore dopo.

Dichiarazioni a cui hanno fatto eco sulla tv di stato quelle del ministro dell’interno Bakayoko: «Sono dieci giorni che abbiamo messo a punto un processo di simulazione di questo tipo di situazioni. Siamo intervenuti rapidamente ed evitato il peggio, perché questa spiaggia è frequentata dalle 500 alle 1000 persone ogni giorno». In effetti, l’attentato terroristico a Grand Bassam non è stata una sorpresa per le autorità ivoriane che si aspettavano da mesi un attacco terroristico dopo quello di giugno 2015 nel sud del Mali, vicino al confine ivoriano. Pattuglie della Brigade antiterroriste perlustrano le strade di Abidjan già da settimane dopo che un piano antiterrorismo messo a punto dal Conseil national de sécurité (Cns) è diventato operativo a gennaio scorso. In questo quadro di forte allerta, la stessa cooperazione tra i francesi, gli americani e le autorità ivoriane si è intensificata negli ultimi mesi.

In meno di un anno, le forze di sicurezza ivoriane hanno sventato almeno cinque attacchi a Abidjan. L’ultimo nel mese di gennaio. Cellule jihadiste dormienti legate al gruppo Ansar Dine sono state smantellate a Abidjan e a Bouaké.

E d’altro canto la Francia, di cui la Costa d’Avorio è un’ex colonia, ha inviato sul posto nei mesi scorsi due esperti di antiterrorismo che collaborano con gli uomini di Youssouf Kouyaté, capo del Centre de coordination des décisions opérationnelles (Cddo). Durante la sera è possibile notare le squadre della Brigade antiterroriste di pattuglia nei pressi dei ristoranti Plateau et Marcory, frequentati da espatriati. Il centro francese Jacques-Prévert è già da tempo sotto la protezione dell’ivoriana Force de recherches et d’assaut de police (Frap).
Mentre il mese scorso erano in corso negoziati tra il governo e l’Onu per l’organizzazione di una esercitazione congiunta di simulazione di un attacco terroristico nella capitale.

Con l’obiettivo evidentemente di addestrare le forze ivoriane a interventi immediati in caso di attacco. Misure e strategie che rientrano nei piani di modernizzazione e di revisione delle politiche di intelligence di molti Paesi africani a fronte di una minaccia crescente della jihad africana.

In questa prospettiva diversi ufficiali ivoriani hanno beneficiato di una formazione in Marocco, Francia e negli Stati uniti.
L’attacco di domenica a Grand Bassam rappresenta chiaramente un duro contraccolpo per la Francia, la cui forte presenza nelle ex colonie sembra alimentare il crescendo d’attacchi terroristici, aree limitrofe comprese. Sono circa 3.500 – infatti – i soldati francesi impiegati nei cinque paesi settentrionali del Burkina Faso, Mali, Ciad, Niger e Mauritania (che formano il G5 del Sahel) e impegnate con l’Operation Barkhane in azioni mirate contro i gruppi terroristici locali.