Luigi Di Maio per due giorni mantiene la consegna del silenzio. Poi parla, in coda alla lunga assemblea congiunta in videoconferenza dei parlamentari del Movimento 5 Stelle. Il suo intervento non è risolutivo, magari neppure dirimente. Ma aiuta a capire che è cambiato l’oggetto del contendere e che la situazione è piùfluida di quanto possa sembrare ad un primo sguardo.

Dopo che per quasi tre ore deputati e senatori grillini si erano arrovellati sul dilemma Draghi sì-Draghi no, l’ex capo politico sposta il frame, mette le mani avanti sul governo tecnico, contro il quale si sarebbe schierato anche Beppe Grillo, ma chiede la nascita di un governo «politico». «Mario Draghi è un economista di fama internazionale che ha legittimamente e correttamente risposto a un appello del capo dello stato» dice Di Maio depurando la figura del presidente incaricato da ogni connotazione ideologica. Poi prosegue: «Il punto prescinde dalla figura di Draghi. La strada da intraprendere, a mio avviso, è un’altra. È quella di un governo politico».

Prima che Di Maio dica la sua, a prevalere sono i no a Draghi. Tuttavia, molti interventi cercano un appiglio per tenere un filo di relazione con la maggioranza relativa sconfitta nella vicenda del governo Conte e con il governo. A parole quasi tutti dicono di essere pronti ad andare al voto. Solo che la linea dettata da Crimi già da ieri sera adesso sembra più sfumata. L’idea è che stare all’opposizione di un Draghi sostenuto dalla Lega significherebbe riconquistare i consensi che Salvini ha strappato ai 5 Stelle nel corso di questa legislatura. Questo proposito è però vincolato al fatto, ancora tutto da verificare, che la Lega accetti di sostenere l’ex presidente della Bce. Insomma, le due forze dello spettro «populista» che sono uscite premiate dalle ultime elezioni politiche e che hanno anche provato a governare insieme continuano a tenersi d’occhio e a muoversi in maniera speculare.

Il ministro allo sviluppo economico uscente, Stefano Patuanelli, cerca di persuadere i parlamentari grillini del fatto che un M5S che resta compatto mantiene la sua centralità negli equilibri parlamentari. «Calma e sangue freddo – è l’esortazione di Patuanelli – Senza di noi non può esserci un governo perché siamo il gruppo più numeroso». Il capogruppo al senato Ettore Licheri non esclude interlocuzioni con l’eventuale maggioranza: «Noi non voteremo un governo tecnico – dice – Ma se dovesse nascere voteremo sì a quei provvedimenti che andranno incontro ai cittadini».

Da fuori, Alessandro Di Battista sente puzza di bruciato e ricorda che «qualsiasi sostegno (diretto, indiretto o mascherato) ad un governo Draghi diventerebbe un no a Conte presidente del consiglio e sì a Renzi» Ma anche Nicola Morra, che nei giorni scorsi si è distinto per la contrarietà ad ogni apertura a Renzi, non chiude del tutto e vuole vedere le carte: «Un governo di alto profilo del presidente non è esattamente un governo tecnico – dice il presidente della commissione antimafia – Quindi dobbiamo rimanere in attesa della prospettiva che verrà chiarita da Draghi».

«Vediamo se riusciamo ad entrare nel governo con qualche nostra personalità di rilievo» è la posizione di Federica Dieni, che contesta Crimi per la gestione delle trattative con Renzi. Anche Primo De Nicola lancia il suo appello per prendere in considerazione la proposta di Draghi: «Non esponiamoci a scelte drastiche e mettiamo davanti contenuti: confrontiamoci e solo dopo, da forza responsabile, decidiamo». Federico D’Incà è considerato un «dialogante», che molto lavorò alla nascita dell’alleanza col centrosinistra per poi divenire ministro dei rapporti col parlamento. «Andiamo a vedere le carte e dopo riconfrontiamoci – dice adesso – Io credo che ci si debba sempre sedere ai tavoli: è il modo migliore per capire, comprendere e scegliere». Gli fa eco il presidente della commissione affari europei Sergio Battelli «Governo politico? Sono d’accordo. Credo che dovremmo giocare a carte scoperte e vedere cosa ci proporrà Draghi».