Qualche giorno di pausa, anche se si può escludere che i telefoni resteranno spenti nonostante la Pasqua. Poi la partita del governo comincerà davvero. Mercoledì mattina Sergio Mattarella inizierà le consultazioni, a partire dal presidente emerito Giorgio Napolitano. Si può essere certi che non si tratterà di un colloquio formale e di pura cortesia. Seguiranno i presidenti delle camere, i gruppi misti di Montecitorio e di palazzo Madama e i gruppi minori. Il vero giorno importante sarà giovedì quando sfileranno il Pd, Forza Italia e la Lega con delegazioni separate, e per ultimo il Movimento 5 Stelle.

Sarà solo infilare il piede nell’acqua per saggiare la temperatura. Poi si passerà a un secondo giro e solo al termine di quel round si arriverà, forse, a incarichi esplorativi. Ma che Mattarella affidi a Salvini prima e poi, se del caso, a Di Maio un incarico pieno è poco probabile. Sin dall’inizio, a meno che qualcosa non lo spinga a cambiare idea, il capo dello Stato intende affidare l’incarico a uno dei due solo dopo aver ricevuto assicurazioni precise e corredate dai numeri sulle possibilità di successo.

Per ora quelle probabilità sono scarse, anche se sin qui si è trattato soprattutto di tattica. Ieri i capigruppo di M5S hanno incontrato quelli della Lega, di Forza Italia e di Leu. Il Pd e FdI hanno respinto l’invito e Di Maio commenta un po’ acido con un tweet: «Il Pd sta portando avanti la linea del freno al cambiamento». Con i capigruppo che hanno accettato il confronto le cose non sarebbero andate male, per essere a inizio corsa, se non fosse per quel paio di scogli che sembrano insormontabili: la presidenza del consiglio a Di Maio e soprattutto il ruolo di Berlusconi. Il nome innominabile lo ha spiattellato senza esitare la nuova capogruppo al Senato Anna Maria Bernini. Quando si arriva ad affrontare, ancora alla lontana, il tema di un possibile governo comune taglia corto: «Di questo dovete parlare col presidente Berlusconi». E’ «prendere o lasciare» e tale resterà.

Sul programma, riassunto in 10 punti, invece le capogruppo azzurre colgono al volo il segnale di apertura ed elogiano l’«utile incontro per definire terreni di confronto parlamentare». Si parla di «taglio delle tasse», musica per le orecchie di Arcore e più tardi, dopo l’incontro con i leghisti, il presidente dei deputati 5 Stelle Toninelli si spinge anche più in là: «Non abbiamo visto la proposta di Flat Tax nel dettaglio, ma abbiamo detto di voler fare un taglio delle tasse che sia costituzionale. Quindi vogliamo vedere i dettagli, come loro chiedono a noi sul reddito di cittadinanza».

Per la verità quella formula, dai 10 punti squadernati da Toninelli e dalla collega del Senato Giulia Grillo, è stata espunta, trasformata in un più malleabile «aiuti al lavoro per i giovani». Sarà per questo che la Lega si permette una poco amichevole presa in giro, ritwittando il commento al vetriolo del renzianissimo Anzaldi: «Dopo cinque anni di propaganda ora scoprono che si sono sbagliati. Sono senza vergogna». E’ un segnale preciso. Con Di Maio privo della sponda del Pd per l’intransigente veto di Renzi, Salvini mira a mettere i 5S di fronte a una scelta rapida, e lo dice chiaramente: «Senza un governo subito si torna a votare».

Con Leu il confronto si è centrato soprattutto sul piano del metodo, affrontato anche negli altri due colloqui. M5S sostiene di voler restituire al parlamento la centralità nel processo legislativo, oggi di fatto quasi per intero affidata al governo, avviando il prima possibile l’attività delle commissioni parlamentari. E’ un tema al quale Leu non può che essere molto sensibile. Ma anche sui programmi, dice la capogruppo al Senato De Petris «ci sono diversi punti di contatto».