Si chiama «Gioventù frustrata» il rapporto presentato a Roma il 15 febbraio dall’associazione «Terra!». Racconta – a partire dai dati emersi nell’ultimo censimento agricolo Istat, diffuso a partire dall’autunno scorso – come l’agricoltura italiana stia perdendo il treno del ricambio generazionale. Nel corso di un convegno, organizzato a Roma insieme al Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), si è parlato perciò di sfide, ostacoli, opportunità, perché la retorica del ritorno dei giovani alla terra non resti tale e possa diventare un’opzione concreta.

Le storie che spesso anche l’ExtraTerrestre racconta accendono una fiammella di speranza, ma non è corretto dipingerle come un vero e proprio controesodo verso le campagne e le aree interne in costante spopolamento dal dopoguerra. Si tratta, spiega il rapporto, «di una narrativa che oscilla fra l’ottimistico e il palesemente falso». Il trend, infatti, è del tutto opposto. Il ricambio generazionale nel settore agricolo non è fermo al palo, ma addirittura negativo. E questo lo si può leggere nonostante il crollo verticale del numero delle aziende agricole che prosegue da decenni.

«Nel 2020 i capi azienda fino a 40 anni sono il 9,3%, in calo dall’11,5% del 2010. Significa che gli ingressi dei giovani in agricoltura sono stati molto pochi: 104 mila persone contro 186 mila del censimento precedente, quando le aziende agricole erano 1,6 milioni. La flessione – specifica il rapporto di Terra! – si avverte soprattutto al sud e nelle isole, dove in dieci anni c’è stato quasi un dimezzamento delle aziende giovani». La realtà è questa.

Le giovani aziende sarebbero interessanti anche per immaginare un’altra agricoltura: in questo caso, evidenzia l’analisi di Terra!, il conduttore è una persona con un titolo di studio medio-alto (il 70% sono diplomati e laureati), hanno imprese con processi produttivi informatizzati, gestiscono circa il 38% delle imprese biologiche registrate in Italia (con punte di circa il 45% in Sicilia, Sardegna e Liguria). «A un carotaggio più profondo, però, emerge come i tre quarti di loro abbiano conseguito un titolo di studio in ambito non agrario: su circa 105 mila aziende gestite da persone entro i 40 anni, solo 20 mila hanno a capo una persona con diploma superiore o laurea in agraria».

UN ALTRO ELEMENTO CARATTERIZZANTE i giovani imprenditori è che molti provengono da famiglie con una qualche attività legata al settore agricolo, che sono in maggioranza maschi e che gestiscono il 16% della SAU. Questo aspetto introduce un problema: in Italia non ci sarebbe «un ambiente non favorevole allo sviluppo dell’imprenditoria giovanile in agricoltura», a meno che questo ricambio non avvenga all’interno di una stessa famiglia.

Secondo Terra!, ciò si deve «all’inadeguatezza degli strumenti normativi che dovrebbero sostenere il ricambio generazionale e dei fondi connessi», a partire da quelli connessi alla Politica agricola comune, che con un monte di risorse pari a 387 miliardi in sette anni (un terzo del bilancio europeo) è il principale strumento di supporto all’agricoltura per i governi del continente. Nell’ultima programmazione (2014-2020) per i giovani agricoltori sono stati stanziati 897 milioni di euro (tra fondi Ur e cofinanziamento nazionale) rispetto ai 769 milioni di euro della programmazione 2007-2013. Il nuovo regolamento approvato dalle istituzioni europee nel 2021, per il nuovo ciclo di programmazione, stabilisce invece che i Paesi membri debbano distribuire almeno il 3% dei pagamenti diretti ai giovani agricoltori, sotto forma di sostegno al reddito o agli investimenti, o di aiuti all’avvio dell’attività.

SECONDO L’ORGANIZZAZIONE uno dei principali problemi è che in assenza di una valutazione del fabbisogno l’aiuto è erogato in forma standardizzata (pagamento annuo per ettaro), in un importo e in una tempistica in cui non è chiaro quali esigenze specifiche diverse dal reddito aggiuntivo siano affrontate. In questo modo, come ha rilevato anche la Corte dei Conti europea, il denaro elargito per i giovani va a chi ha già un terreno, senza quindi favorire l’accesso alla terra. Per Terra! è necessario abbassare il tetto del sostegno complementare al reddito che attualmente è garantito per i primi 90 ettari e portarlo ai primi 20 o 30, pari comunque a due-tre volte l’azienda media italiana. «È improbabile che un agricoltore entri nel settore con un’azienda molto più grande, a meno che non subentri al proprio genitore o parente» sottolinea l’organizzazione nel rapporto.

UN ALTRO LIMITE È LEGATO AL SOSTEGNO al cosiddetto «primo insediamento» di agricoltori fino a 40 anni compiuti. Questi soggetti devono elaborare piani aziendali che verranno vagliati dalle Autorità regionali di gestione dei fondi Pac, le quali stileranno la lista dei progetti ammissibili per poi finanziarli. Lo stanziamento per chi si insedia va utilizzato (nella maggior parte dei casi) entro 2-3 anni. Ciascuna Regione è libera di destinare all’intervento risorse aggiuntive a quelle definite dal regolamento europeo (e normalmente lo fa). Nell’ultima programmazione il finanziamento per ciascun piano aziendale ammontava (da regolamento Ue) a un massimo di 70 mila euro. Nel 2023-2027 l’importo sale a 100 mila euro.

SECONDO LA RETE RURALE NAZIONALE occorrerebbe essere più flessibili e non obbligare chi partecipa al bando per il primo insediamento a produrre subito partita Iva e qualifica di Iap, cioè imprenditore agricolo professionale, qualifica che per legge obbliga a fare dell’agricoltura un lavoro a tempo pieno. C’è poi la lentezza burocratica nell’approvazione dei progetti vincenti e nella successiva erogazione dei fondi. Per la prima volta, nella versione del Piano Strategico Nazionale che accompagna la nuova Pac era stato introdotto un sostegno alla cooperazione per il rinnovo generazionale: doveva promuovere la collaborazione tra agricoltori over 65 e giovani fino a 40 anni, non proprietari di terreni.

SU QUESTA MISURA ERANO STATI INVESTITI solo 11 milioni di euro, pensati per supportare il passaggio della gestione dell’attività da un soggetto all’altro: l’imprenditore anziano avrebbe firmato un contratto di affiancamento che lo impegna a trasferire al giovane le proprie competenze, mentre quest’ultimo avrebbe accettato la presa in carico dell’impresa, sulla base di un piano aziendale presentato insieme al contratto. L’efficacia dell’intervento non potrà essere valutata, perché è stato espunto dalla versione definitiva del Piano. «Un’occasione persa» denuncia Terra!.