Sconfiggere l’attuale barbarie del lavoro con una nuova lotta di classe. È l’obiettivo fin troppo ambizioso del libro di Marta Fana, economista che ha scritto fino al 2015 sulle colonne di questo giornale ed è conosciuta dal grande pubblico per gli scontri cartacei con il ministro Poletti sui giovani che lasciano l’Italia e quelli televisivi con Farinetti sul modello Eataly.

L’ASSUNTO da cui parte Non è lavoro, è sfruttamento (Laterza, pp. 173, euro 14) è che negli ultimi anni la degenerazione nel mondo del lavoro ha prodotto una vera «disintegrazione sociale». Raccontando, con partecipazione e piena coscienza del contesto, le esperienze dei e delle giovani che si trovano ad accettare condizioni abominevoli tra voucher, cottimo, lavoro gratuito; il quadro che ne esce è di una realtà prorompente che stende e annichilisce lo storytelling renziano sui successi del Jobs act e della Buona Scuola da cui nasce l’obbrobrio dell’alternanza scuola-lavoro. Un vero e proprio buco nero in cui sono stati trascinati non solo i Millennials senza più coscienza e conoscenza dello statuto dei lavoratori e dei diritti, ma fasce sempre più ampie del cosiddetto e ormai scomparso ceto medio fatto di trentenni, quarantenni e cinquantenni che rientrano ormai nella categoria del «lavoro povero».

IL COMPARTO – spesso ignorato dai grandi mezzi di comunicazione – in cui questo processo va avanti da anni è la logistica: un vero far west nel quale l’appalto e il sub-appalto sono gli strumenti per azzerare diritti e salari. Un comparto i cui modelli si stanno allargando in modo preoccupante al settore pubblico, a partire dalla sanità.

IL DATO che indica meglio come la lotta di classe (per ora) l’abbia vinta la finanza capitalista è quello della quota di redditi da lavoro sul Pil sempre citato da Luciano Gallino e aggiornato al 2016: nel 1976 i salari pesavano per il 66,1%, oggi solo per il 53%. Tredici punti in meno in trent’anni certificano quanto abbino perso i lavoratori del nostro tramortito paese. La parola d’ordine di questa lunga onda partita nel 1997 col pacchetto Treu è stata flessibilità, diventata oramai ideologia incontrastata.
Marta Fana racconta la disintegrazione e smonta pezzo per pezzo e in modo analitico – da ricercatrice scrupolosa quale è – «il milione di posti di lavoro» che come Berlusconi nel 1994 ora i renziani sostengono di aver creato. Posti e contratti a condizioni sempre peggiori che portano alla conclusione impietosa: «Dicevano: meno diritti, più crescita. Abbiamo solo meno diritti».

COME RIALZARSI? Nelle conclusioni la ricetta abbozzata parte dall’«innescare ogni miccia capace di portare alla luce le contraddizioni» del sistema e «farle vivere come comunità» per «ribaltare la guerra tra poveri» e tramite questo «riorganizzare una ricomposizione di classe» per «il riscatto collettivo».
La lettura è agile, la scrittura incisiva e anche i pochi grafici utilizzati sono facilmente comprensibili da chi non è avvezzo all’economia e la statistica.