Nella legge di stabilità 2014-2016, grazie a un emendamento di Sel, si istituisce un contingente di corpi civili di pace. Si tratta di un finanziamento di 9 milioni «destinati alla formazione e alla sperimentazione della presenza di 500 giovani volontari da impegnare in azioni di pace non governativa nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto». Il finanziamento viene agganciato alla legge sul servizio civile nazionale e in particolare all’articolo 12 che regola il servizio civile all’estero.

Non esiste in Italia una legge sui «corpi civili di pace» e l’unico modo per dare vita a questa esperienza era quella di agganciarla ad una legge esistente, quella del servizio civile nazionale.

Questa misura raccoglie la spinta di tante esperienze – anche molto diverse tra loro – che si sono realizzate in questi anni: da quella storica delle peace brigades ai caschi bianchi, dalle iniziative di interposizione nelle aree di conflitto al più recente tavolo per gli interventi civili di pace. Migliaia di giovani e volontari che si sono impegnati in prima persona e hanno anche rischiato la vita in ex Jugoslavia, in Iraq, in Medio Oriente, in Afganistan. Molti anni fa Alex Langer riuscì a ottenere l’approvazione di una risoluzione da parte del Parlamento europeo che chiedeva l’istituzione di corpi di pace in Europa.

Eravamo nella prima metà degli anni ’90, nel pieno delle guerre della ex Jugoslavia. Migliaia di persone si recavano a Sarajevo, a Mostar e nelle altre città jugoslave a portare aiuti alle vittime, a soccorrere e accogliere i profughi, a ricostruire le città distrutte. E soprattutto a promuovere iniziative di riconciliazione, di diplomazia dal basso, di sostegno alle forze antinazionaliste. Era la sperimentazione di una presenza nonviolenta e di pace alternativa all’interventismo militare degli eserciti.

L’idea di corpi civili di pace è quanto mai attuale. Soprattutto in un momento in cui la guerra e gli interventismi militari sono stati purtroppo rilegittimati come strumenti ordinari della politica estera e della governance – si fa per dire – delle relazioni internazionali. I corpi civili di pace ci indicano una strada alternativa: che si può intervenire nei conflitti con gli strumenti della nonviolenza, promuovendo azioni concrete come la interposizione e la riconciliazione tra le parti in conflitto. È un’idea diversa di sicurezza, che si costruisce e si condivide insieme e non con la minaccia delle armi.

Speriamo che questa nuova iniziativa che parte non sia travolta dalla burocrazia ministeriale, ma abbia la possibilità di svilupparsi fondandosi sul protagonismo e l’autonomia delle associazioni e dei movimenti. È dalla società civile che i corpi civili di pace possono trarre la forza per costruire una vera alternativa di pace alla «soluzione» violenta dei conflitti.