Più di 90 persone arrestate, raid della polizia negli uffici legali e nelle sedi delle associazioni, richieste di pene pesantissime per gli oppositori politici e i loro avvocati.
La Repubblica di Turchia, che solo pochi mesi fa ha celebrato il suo primo secolo di vita, sta affrontando uno dei periodi più bui di repressione. Tra gli arrestati anche Ayten Öztürk, la rivoluzionaria alevita che ha denunciato di essere stata torturata per sei mesi in un centro segreto di detenzione. L’abbiamo intervistata lo scorso marzo, dalla sua casa a Istanbul, dove si trovava da circa due anni agli arresti domiciliari e l’abbiamo incontrata di nuovo a novembre.

IL 6 FEBBRAIO al tribunale di Çaglayan a seguito di un attacco armato sono rimasti uccisi due attentatori e un civile. Da quel momento la polizia ha preso di mira gruppi e singoli individui ritenuti vicini al Partito-Fronte Rivoluzionario di Liberazione del Popolo (Dhkp-C). Non è mai arrivata una rivendicazione ufficiale ma il governo ritiene che l’uomo e la donna che hanno tentato l’azione armata al tribunale, della quale però non sono ancora chiare finalità e modalità, fossero membri della formazione politica marxista-leninista considerata in Turchia «organizzazione terroristica». Ieri il gruppo ha rivendicato l’azione affermando però che l’obiettivo non era entrare in tribunale e che la polizia ha sparato quando i due suoi membri non erano armati.

Gli avvocati che in passato avevano lavorato alla difesa di una delle persone coinvolte nell’attacco sono stati accusati addirittura di complicità nell’attentato. L’Ufficio legale del popolo, uno studio di cui fanno parte decine di avvocati, è stato attaccato dalla polizia che lo ha perquisito e in parte distrutto. La stessa sorte è toccata all’Idil Cultural Centre, sede della band musicale Grup Yorum, da sempre politicamente impegnata. Qui sono stati distrutti strumenti musicali, bagni, fatti a pezzi mobili e cucina. Danni peggiori alla sede dell’associazione Tayad, costituita dai parenti degli oppositori politici detenuti nelle carceri turche. I membri di Tayad sono per la maggior parte persone anziane, a volte malate e che hanno figli, mariti, mogli nelle carceri, condannati a pene pesanti, spesso con accuse pretestuose.

Dieci membri di Grup Yorum sono stati arrestati, portando a sedici il totale dei musicisti e delle musiciste del gruppo attualmente in prigione. Diciassette se contiamo anche quello detenuto in Germania, secondo gli accordi di cooperazione politica sottoscritti con la Turchia. Tra i membri di Tayad fermati ci sono anche ultraottantenni. Hasan Basri, componente dell’associazione, ci ha raccontato che le abitazioni delle famiglie di Tayad sono molto spesso obiettivo dei raid della polizia, che fa irruzione solitamente durante la notte per perquisire e arrestare.
Come è accaduto ripetutamente ad Ayten Öztürk. Anche lei è stata portata in prigione, la sua casa danneggiata, armadi distrutti, librerie rovesciate, finestre rotte. Ayten ci ha raccontato di essere stata rapita nel 2018 dai servizi segreti turchi, mentre si trovava all’aeroporto di Beirut, in Libano, dove faceva scalo per raggiungere la Grecia. Per sei mesi nessuno della sua famiglia e tra i suoi amici ha saputo dove fosse.

IL CENTRO di tortura nel quale è stata rinchiusa e sottoposta a terribili sevizie, anche di tipo sessuale e con l’utilizzo dell’elettroshock, è stato individuato dai suoi avvocati. Nonostante ciò, mentre gli esposti contro la tortura venivano ignorati, gli stessi tribunali cominciavano ad accusare Ayten. Tutto sulla base di dichiarazioni di testimoni segreti che l’avrebbero vista presso la sede di un’associazione che si occupa di diritti umani e su un marciapiedi, durante un tentativo di linciaggio al quale non è accusata di aver preso parte. La sua avvocata, Seda Saraldi, ci ha spiegato che nonostante non esista in Turchia una legge che preveda l’arresto per accuse del genere, che non fanno riferimento ad alcuna azione criminale, la sua assistita rischia ben due ergastoli.
Tra le 62 persone che ancora rimangono in prigione ci sono anche gli avvocati di Ayten, tra i quali proprio Seda Saraldi. L’Ufficio legale del popolo ha dichiarato che i loro arresti non hanno alcuna motivazione legale e che sono frutto di scelte politiche: «I nostri colleghi vengono puniti per la loro attività professionale con accuse astratte e immaginarie, prive di fondamento materiale o giuridico e non basate su alcuna prova». L’Osservatorio internazionale per gli avvocati, che comprende diverse organizzazioni e organismi per i diritti legali, ha emesso un comunicato in cui giudica inaccettabile «l’identificazione degli avvocati con i loro clienti» e ricorda ai tribunali e alle autorità turche che «il mondo li sta guardando».

Prima di essere arrestata, Seda Saraldi ci ha parlato della sua scelta di difendere Ayten e le altre donne che hanno subito torture e per le quali rimane estremamente complicato denunciare, proprio per la volontà politica di ignorare le accuse contro i servizi segreti e a causa dell’accanimento giudiziario che si abbatte sulle vittime.
Eppure, Ayten ha fatto della sua storia un esempio potente di coraggio, determinazione e dignità che ha attraversato i confini nazionali trovando sostenitori in molti paesi del mondo. Nonostante fosse ininterrottamente controllata, agli arresti domiciliari da quasi tre anni, la sua casa continuamente perquisita, è stata accusata di essere la mente dell’attacco al tribunale di Istanbul. Anche se l’imputazione, secondo gli avvocati, non è supportata da alcuna prova, potrebbe rappresentare l’ultimo tassello necessario per rinchiuderla in prigione a vita e porre fine alla sua battaglia contro la tortura di Stato.