La guerra continua. Dopo i tentativi dei giorni scorsi di creare una sorta di triangolazione tra Mosca, Kiev e Unione europea per tracciare, o almeno tentare di immaginare, una road map per chiudere il conflitto, non sembra sia cambiato nulla nelle zone orientali del paese.

Le notizie che provengono dal Donbass sono molto più gravi e drammatiche di quanto venga riportato dai media italiani, che sembrano aver scordato la guerra in corso. Dubbi e interrogativi circa caccia all’uomo, fughe rischiose, profughi e fosse comuni, continuano a esistere, viste le denunce che provengono da quelle zone. E da ieri c’è anche il sospetto che Kiev abbia utilizzato, nell’assalto alle regioni al confine con la Russia, bombe esplosive al fosforo. I miliziani filorussi hanno infatti accusato le truppe di Kiev di aver usato bombe incendiarie nel villaggio di Semenovka, vicino Sloviansk, roccaforte dei separatisti nell’Ucraina orientale. La notizia è riportata dall’agenzia di stampa Ria Novosti, vicina al Cremlino, mentre la Guardia nazionale ucraina nega le accuse definendole «assurde».

Il responsabile per i diritti umani del ministero degli Esteri russo, Konstantin Dolgov, ha accusato i militari ucraini di usare «armi vietate contro gli abitanti di Sloviansk», di «sparare contro i civili in fuga» e di «uccidere i bambini». Sul punto relativo alla supposte bombe incendiarie, Mosca ieri ha fatto sapere di aver ufficialmente richiesto un’indagine, denunciando inoltre il passaggio in Russia, nella regione di Rostov sul Don, di almeno 8.000 profughi provenienti dall’Ucraina sfuggiti ai combattimenti.

La richiesta russa di chiarimenti a Kiev ha senso, all’interno di una diatriba che appare sempre più dura, benché sia probabilmente l’ennesimo chiarimento che rimarrà inesaudito. A Kiev si è già chiesto, a livello internazionale, almeno tre indagini in grado di fare luce su eventi considerati decisamente rilevanti all’interno di questi ultimi mesi di guerra.

La prima riguardava le morti durante gli scontri di Majdan, la seconda era sul rogo di Odessa (almeno 48 morti tra i filorussi), la terza sulla morte provocata dal fuoco dell’esercito ucraino del fotogiornalista italiano Andrea Rocchelli (a questo proposito sarebbe interessante se la ministra Mogherini ha novità o meno e se c’è l’intenzione del governo italiano di andare fino in fondo a questa vicenda).

Ieri si è di nuovo combattuto, sia sul campo, sia sul fronte mediatico. I ribelli dell’autoproclamata Repubblica popolare di Lugansk sostengono di aver fermato una colonna di carri armati di Kiev. Lo ha riferito l’agenzia Ria Novosti. A Snizhne, al confine tra la Russia e le regioni di Lugansk e Donetsk, sarebbero invece in corso combattimenti: è la stessa zona dove le truppe di Kiev affermano di aver intercettato tre tank russi. Questa è stata infatti la notizia più rilevante dieri, smentita da Mosca, ma considerata invece reale dal governo di Kiev. Stando a quanto riportato dalla Bbc, il governo di Majdan avrebbe denunciato l’ingresso di tre tank russi sul territorio ucraino.

Nessuno ha confermato, né al momento ci sono prove, foto, video o testimonanianze che possano provare l’esattezza di questa affermazione. Rimane il fatto che la tensione è di nuovo alta e ieri, come comunicato dal Cremlino, il presidente russo Vladimir Putin e quello, neoeletto, ucraino, Petro Poroshenko, si sarebbero sentiti telefonicamente. Uno spiraglio infatti pare si sia aperto.

Ieri infatti il ministro degli esteri russo, Lavrov, ha aperto una doppia possibilità di uscita dalla crisi. La Russia – ha detto – prevede di presentare al Consiglio di sicurezza dell’Onu un progetto di risoluzione affinché Kiev possa realizzare la roadmap promossa dall’Osce per mettere fine ai combattimenti. Analogamente, Lavrov ha specificato che i separatisti filorussi dell’Ucraina orientale sarebbero pronti a cessare le ostilità, «ma deve essere Kiev ad avviare il processo di de-escalation delle violenze».

Si tratta di possibilità limitate, specie la seconda. Del resto Kiev ha sempre mostrato di non avere alcuna intenzione di riconoscere i ribelli come interlocutore per aprire un passaggio diplomatico in grado di fermare la guerra. Mosca in questo modo però sembra voler dimostrare due cose: da un lato la disponibilità del Cremlino ad appoggiare la «road map», con tanto di supporto degli osservatori dell’Osce, dall’altro, con il riferimento alla possibilità che i ribelli possano accettare un compromesso, forse intende dimostrare di avere ripreso il controllo di quanto sta accadendo nell’est del paese.

Una evenienza che forse conviene anche a Kiev, perché pare che a placare la resistenza dei filorussi, non basti l’esercito malandato di Majdan.