L’anno scorso è stato ricordato il centesimo anniversario della fondazione del Pci. Lo si è fatto in diverse sedi per riportare alla memoria il percorso politico epocale di un partito che è stato a lungo il riferimento principe delle masse lavoratrici. Una delle opere dedicate a questa storia è Livorno 1921. Dentro e oltre la classe operaia di Olimpia Capitano (4 Punte Edizioni, pp. 152, euro 15).

INTRODOTTO dalla prefazione di Vladimiro Giacché, il libro contribuisce alle iniziative svoltesi nel centenario con una ricostruzione storica dei fermenti politici e sociali in atto negli ambienti della sinistra livornese a cavallo fra il XIX e il XX secolo, a partire dal 1860. A cavallo di due secoli, si diceva: epoca caratterizzata dall’avvio del processo industriale di una città che nel passato era stata porto franco, meta di mercanti stranieri, sede di consolati e di compagnie di navigazione. Una storia che ha portato Livorno a divenire una realtà multietnica e multiculturale, come sottolineato da Capitano con descrizioni efficaci di questo aspetto peculiare della città toscana.

NELLA RICOGNIZIONE storica cui dà luogo, il libro passa per un’esposizione e analisi delle tensioni esistenti all’interno della sinistra italiana nel primo Novecento. Si fa così riferimento alla campagna di Libia, avviata nel 1911, e all’opposizione alle guerre coloniali da parte di una sinistra non unita, caso mai lacerata da lotte intestine. Di questa opposizione era stato partecipe anche il socialismo livornese che, come scrive l’autrice del volume, «si stava attestando su posizioni più massimaliste pur rimanendo legato a un’impostazione politica tutt’altro che rivoluzionaria».

L’ESPOSIZIONE ci consegna l’immagine della Livorno in quel periodo di intensa conflittualità di classe noto come biennio rosso, e si impegna in una ricognizione del primo comunismo livornese (1921 -1922), con il XVII congresso del Partito Socialista tenutosi nella città portuale dal 15 al 21 gennaio del 1921. Anno, quest’ultimo, in cui ha avuto luogo la scissione del partito, sempre più diviso da controversie interne che avrebbero portato alla formazione del nuovo Pcd’I, sezione italiana della III Internazionale.
Come scrive Giacché nella sua prefazione, la scissione di Livorno è stato oggetto di riletture e interpretazioni che, in occasione del centenario sono apparse «accomunate da un assioma di partenza: quella scissione fu un errore, fondato sulla prospettiva sbagliata e perdente della rivoluzione in occidente, sulle orme e sull’esempio della rivoluzione russa del 1917».

NELLA SUA OPERA, Capitano non manca di dedicare spazio ad alcune delle personalità di rilievo del comunismo livornese: Livio Barontini, «uomo di partito» ma soprattutto «militante libertario», e Mauro Nocchi, la cui coscienza politica si è formata «imparando dalla concezione popolare e spontaneista dell’antifascismo livornese».
Quel Mauro Nocchi che, dopo la Bolognina, ha deciso di uscire dal partito che per lui «era sempre stato una cosa bella e non un ‘bambolotto di pezza’», come era stato chiamato da Fabio Mussi nel suo impegno a difendere la liquidazione del Pci.