Raccontano che negli archivi della Camera ancora oggi vi siano documenti secretati del Risorgimento. Faldoni con le gesta di Mazzini e Garibaldi, l’ascesa dei Savoia e la guerra ai “briganti”. Leggende, forse. Anche perché nessuno può aprire i fascicoli con il timbro «segreto» o «riservato». Negli scaffali di legno di palazzo San Macuto a Roma – a pochi passi dalla chiesa simbolo dei gesuiti, Sant’Ignazio di Loyola – è custodita buona parte dei segreti della Repubblica. Qui era conservato il verbale dell’audizione di Carmine Schiavone dell’ottobre del 1997, qui ci sono documenti – acquisiti dalle Commissioni parlamentari d’inchiesta – con titoli da brivido: «Traffico di rifiuti industriali in Somalia», ad esempio. E annotazioni dei nostri servizi segreti che recano come oggetto «il caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin».

Non aprite quegli archivi

Carte , inaccessibili. Che neppure i deputati possono consultare, come dimostra l’ultimo “no” dei Servizi all’apertura degli archivi, risalente alla primavera scorsa: risulta al manifesto che tra l’aprile e il maggio del 2013 l’agenzia Aise (l’ex Sismi, il servizio segreto militare) abbia negato l’autorizzazione a un ufficio di Montecitorio che chiedeva la declassificazione dei documenti riservati acquisiti dalla Commissione parlamentare sui rifiuti presieduta da Gaetano Pecorella.

Sui traffici di rifiuti, sulle navi cariche di veleni affondate nel Mediterraneo, sull’omicidio della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin – argomenti di cui i Servizi hanno sempre dichiarato di non essersi occupati direttamente – ancora oggi c’è il segreto. Un’esigenza di riservatezza tale che nella scorsa legislatura, di fronte ai commissari parlamentari, i direttori delle due agenzie d’intelligence hanno dichiarato di non ricordare attività d’informazione passate o in corso sui traffici internazionali di scorie. Anche se sono migliaia i documenti sul tema inviati da Aisi e Aise, i servizi civili e militari, alle varie commissioni: più di 8mila mostrati alla sola Commissione parlamentare sul caso Alpi-Hrovatin, come dichiarato dal generale Sergio Siracusa sentito come testimone nel marzo 2012 al Tribunale di Roma.

Desecretazione a metà

Nell’ultimo ufficio di presidenza della Camera è stata discussa la richiesta di desecretazione presentata lo scorso dicembre da Greenpeace – e appoggiata dal manifesto. La vicepresidente Marina Sereni (Pd) ha annunciato i risultati di una prima ricognizione dei fascicoli attinenti alla richiesta, curata dai funzionari che si occupano dell’archivio storico della Camera. E i conti non tornano. Fonti interne alla Camera raccontano di una quantità di documenti decisamente inferiore al numero che risulta dagli indici elaborati durante l’ultima commissione.

Complessivamente, considerando quattro commissioni d’inchiesta sui rifiuti e quella sulla morte di Alpi e Hrovatin, i consulenti di Montecitorio hanno sottoposto alla presidenza poco più di un centinaio di dossier da avviare alla desecretazione. Che fine hanno fatto gli altri fascicoli? «Quei documenti non avevano un inventario analitico – fa sapere una fonte che chiede l’anonimato – per cui abbiamo dovuto stabilire dei necessari criteri di ricerca». Alla fine, delle migliaia di documenti inviati dai servizi segreti alla Commissione Alpi-Hrovatin, delle migliaia di dossier acquisiti dalle commissioni sui rifiuti (più di 600 solo per la Commissione Pecorella) sono stati selezionati solo 152 da avviare alla desecretazione: 70 dell’Aise, il servizio di intelligence estera (40 documenti segreti e 30 riservati), 5 dell’Aisi (il servizio di intelligence interna), 20 del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, e una cinquantina di atti giudiziari. Di tutti gli altri documenti non verrà nemmeno chiesta la desecretazione. Rimarranno chiusi – forse per sempre – accanto alle carte segrete del Risorgimento.

I funzionari del segreto

Ci sono funzionari che custodiscono i segreti della Repubblica. Le cui carriere attraversano e osservano con distaccato riserbo il susseguirsi di legislature e stagioni politiche. Alti dirigenti che – specie nei momenti di crisi e di rivolgimenti istituzionali – stanno a guardia dei misteri che accompagnano la storia della Repubblica. Come i funzionari che hanno effettuato la ricognizione negli archivi della Camera, alla ricerca dei documenti da declassificare. Utilizzando criteri riservati rispetto ai quali non è facile risalire a chi ha deciso cosa scegliere nel gigantesco archivio. Non è semplice dare una risposta.

Contattate dal manifesto, fonti della Camera spiegano di aver scelto alcune parole chiave per selezionare i dossier da rendere pubblici: chiavi di ricerca come “navi a perdere”, “affondamento”, “rifiuti”, escludendo i documenti che non contenessero quei riferimenti diretti. Come, ad esempio, alcune carte sulla morte di Ilaria e Miran . O come i fascicoli sul traffico d’armi, collegato con la rete di intermediazione che spedisce nei paesi africani le scorie delle nostre industrie.

Esclusa anche la Somalia, vero crocevia dei peggiori affari italiani. Un’interpretazione restrittiva della richiesta di Greenpeace (che ha chiesto la desecretazione dei fascicoli sulle “navi a perdere” e sui traffici internazionali di rifiuti) che si presta a innumerevoli contestazioni. «Dovevamo cercare la migliore collaborazione istituzionale – continua la fonte della Camera – per aprire un discorso su questi argomenti rispettando le esigenze della magistratura…e di tutte le autorità che si occupano di questi temi». Come gli stessi Servizi.