Dietro l’apparente calma piatta di una giornata interlocutoria che finisce con un’assemblea congiunta che doveva essere serale e invece diventa notturna, il Movimento 5 Stelle sembra sempre più sull’orlo di una crisi di nervi.

Ritornano le distinzioni tra governisti e ortodossi, compaino le diffidenze reciproche e riaffiorano i sospetti. Domina la paura che legarsi a Giuseppe Conte e imbrigliarsi alla formula della «maggioranza da allargare» significhi scivolare inesorabilmente verso il voto. E che la riunione congiunta di deputati e senatori già prevista per lunedì scorso slitti ulteriormente per lasciare spazio ai caminetti dei vertici non fa che peggiorare il clima interno: «Vogliono parlare con noi soltanto quando i giochi sono fatti», si lamentano gli eletti.

Ad uno sguardo superficiale, la linea ufficiale è sempre quella. E tale resterà fino all’uscita della delegazione grillina dalle consultazioni: «Conte rappresenta il federatore di questa maggioranza che attorno alla sua figura può rafforzarsi», per dirla con le parole del sottosegretario alla presidenza del consiglio Riccardo Fraccaro. Attorno a questa speranza si attestano le truppe parlamentari del Movimento 5 Stelle, silenziose e in attesa di novità dalla nuova caccia ai «responsabili». «C’è un solo uomo che può tirarci fuori da questo pantano e quell’uomo è il presidente Giuseppe Conte», assicura anche Paola Taverna. Ma a molti degli eletti appare come la replica delle rassicurazioni dei giorni scorsi. Da qui le diffidenze.

«L’incarico a Conte è un passaggio necessario all’allargamento della maggioranza» si legge in una nota dei capigruppo pentastellati. Cui fa eco Vito Crimi: «Riteniamo che il presidente del consigli uscente sia l’unica persona che in questa fase storica possa rappresentare la sintesi e il collante di questa maggioranza». Le posizioni si diversificano nella misura in cui si approfondiscono gli scenari. E se Renzi davvero per sparigliare le carte e liberarsi di Conte proponesse che l’incarico vada al leader della prima forza in parlamento, che da giorni si autodefinisce «baricentro della stabilità»? Curiosamente questa ipotesi prevede che il prescelto non sia il leader formale, Crimi, ma quello precedente, Di Maio. O al massimo dell’istituzionale Roberto Fico, che potrebbe lasciare il posto di presidente della camera a Dario Franceschini, e di Stefano Patuanelli, il più vicino a Conte dei ministri uscenti. «Cosa succede se Renzi ci propone un premier 5 Stelle? Noi lavoriamo per Conte presidente» tiene la posizione il presidente della commissione Politiche Ue Sergio Battelli.

Per non parlare degli eletti considerati vicini ad Alessandro Di Battista. Soltanto pochi giorni fa, nei giorni della rottura con Italia Viva, l’ex deputato romano aveva salutato la ritrovata unità dei 5 Stelle. Adesso il clima è già cambiato. Ecco, ad esempio, la senatrice Barbara Lezzi che giura che non voterebbe mai la fiducia a un esecutivo insieme ai renziani. E si capisce come la ritrovata armonia per combattere il nemico, il serrare le fila di fronte al «traditore renziano», possa sfumare facilmente di fronte alle scelte da compiere adesso che la crisi è formalizzata e i giochi sono destinati a riaprirsi, forse verso orizzonti inesplorati.

Le notizie che giungono dalla Puglia, dove la capogruppo del Movimento 5 Stelle Rosa Barone è in procinto di entrare nella giunta di Michele Emiliano suscitano l’approvazione di Crimi. Anche se, precisa il reggente, bisognerà passare per una consultazione sulla piattaforma Rousseau prima di decidere se allearsi con il centrosinistra pugliese. E tuttavia questo atteggiamento insospettisce quelli meno disposti ad accettare una alleanza «strutturale» con il Pd. «Non vorremmo – dice un deputato – che quello pugliese sia solo l’antipasto dello scenario nazionale».
Ma i parlamentari sanno che al 70% non torneranno ad avere un seggio in caso di elezioni anticipate. Non ci pensano proprio a «morire per Conte». Chiedono di vedere le carte coperte e vogliono conoscere i piani B.