Un vantaggio per ora la pandemia l’ha portato, soprattutto in città come Milano dove fino a prima del virus non era scontato trovare un bar o un ristorante con i tavolini all’aperto. Ora, invece, grazie al periodo in cui non si poteva ricevere al chiuso e al fatto che per il momento è sospesa la tassa di occupazione del suolo pubblico, è un’esplosione di tavoli, tavolini, sedie, panchette, ombrelloni, verande, pedane, gabbiotti con tetti e tettucci, opulenti o striminziti, stravaccati su marciapiedi o rubati ai posteggi. La gente ha scoperto la bellezza di incontrarsi all’aperto e la città in molti quartieri ha cambiato faccia mostrando persone felici di rivedersi e chiacchierare, incuranti se ogni tanto cadono due gocce d’acqua.
Certo, ci sono gestori che hanno esagerato e si sono allargati più del dovuto, altri che hanno allestito in fretta e furia orribili contenitori di plastica o pedane che al primo temporale si sono sfaldate come gelati al sole, altri ancora che hanno potuto piazzarsi nell’unico spazio che avevano, a ridosso di un tram e di un parcheggio, però la scoperta della veranda o deforis, come si dice in latino, è qualcosa che difficilmente scomparirà e magari è la volta buona che Milano riuscirà ad assomigliare un po’ più a Parigi, dove il dehors è una religione, tant’è che anche il bistrot più scranscione ne ha uno.

QUI, però, si apre un’altra questione, ovvero la convivenza fra chi sta sotto e si diverte e chi abita sopra. Ci sono persone che attorno a sé vorrebbero il silenzio totale e quelle che invece amano il chiacchiericcio, le risate, il tintinnio di bicchieri e posate perché sono suoni che appartengono alla vita che scorre, e soprattutto a una vita felice che non è mica una cosa da poco. Se uno vuole la quiete assoluta, non va a vivere in una metropoli dove alle sei del mattino puoi essere svegliato da un allarme impazzito, dal camion della nettezza urbana che pulisce le strade o carica i contenitori del vetro facendo un casino d’inferno. La città richiede un approccio zen per non soccombere alle seccature sonore, oppure degli ottimi tappi per le orecchie perché ci sarà sempre un vicino che accende la lavatrice all’una di notte, tiene alta la radio, cammina al piano di sopra con i tacchi. Se tutto ciò è saltuario, o negoziabile, si può sopravvivere e quindi cosa vuoi che siano un po’ di persone che chiacchierano bevendo e mangiando. I rumori molesti sono ben altri, tipo gli ubriachi che urlano in piena notte o gli energumeni che si danno bottigliate da orbi, certe canne fumarie fuori norma che ti sembra di avere un aereo in casa, le moto senza marmitta che accelerano neanche fossero al circuito di Imola.

E POI ci sono le liti domestiche. Quelle, più che un fastidio sonoro, provocano un malessere interiore. Saltuariamente, e sempre di prima mattina, all’ora della colazione, sento una donna che prende a male parole qualcuno che non risponde e quindi non so se è un adulto o un bambino. Gliene dice di tutti i colori, con quel tono di voce pieno di rabbia sorda e rancore, covati giorno per giorno, nell’inferno di una casa infelice. Quello sì che fa male, perché senti il disastro arrivare, e non puoi fare nulla, non solo perché non conosci l’origine precisa di tanto dolore, ma perché sei consapevole che nodi così non li scioglie una vicina di casa piena di buone intenzioni. Ci vuole ben altro.
In confronto, un deforis affollato è paradiso, per le orecchie e per l’animo e quindi teniamoceli, soprattutto quando tornerà il grigio inverno. Tanto lì basta un fungo scaldante.

mariangela.mianiti@gmail.com