Mattia Feltri rivolge un «appello ai costituzionalisti», in particolare a «quelli del no», impegnati quattro anni fa nel contrasto alla riforma di Matteo Renzi e dieci anni prima contrari alla riforma di Silvio Berlusconi. Questa la richiesta: escano dal silenzio e ci dicano che pensano sulla riduzione del numero dei parlamentari. Mi chiedo se il problema sia dei costituzionalisti del no che non parlano o di Feltri che non legge?

«Da Gustavo Zagrebelsky in giù potrebbero dare risposta», scrive il neo-direttore dell’Huffington Post. Per quanto riguarda Zagrebelsky francamente non mi sembra possa essere tacciato di essere particolarmente riservato, continua a dire la sua su quotidiani nazionali di importante tiratura (Repubblica, il Fatto), esprimendo opinioni che possono non essere condivise, ma che evidentemente sono più che legittime. Può rimanere deluso chi ritiene che «quelli del no» siano un partito o una lobby che opera sempre e per principio per ostacolare i governi e le riforme. Avendo denunciato la svolta autoritaria e i rischi della democrazia in passato, sono condannati e replicare sempre la stessa parte. Questo sì che è un vero pregiudizio.

Quel che deve essere richiesto, in caso, ai costituzionalisti (solo a loro?) è di motivare i propri giudizi. Guardando magari anche «in giù», dove non mi sembra siano mancate – e non da oggi – prese di posizione chiare e preoccupate sulla riforma cui saremo chiamati a votare a settembre.

Se Feltri, ad esempio, volesse leggere considerazioni critiche potrebbe sfogliare il manifesto. Villone, Pallante, potrei aggiungere anche chi scrive – solo per citare alcuni dei «costituzionalisti del no» – da tempo e con continuità discutono animatamente delle riforme, criticandole con argomenti tra loro diversi, ma senza reticenze, spiegando – proprio come vorrebbe Feltri – rischi e limiti della riduzione del numero dei parlamentari. In verità i costituzionalisti si occupano su queste colonne da sempre anche di altro: della legge elettorale, dello stato della nostra democrazia, della radicale crisi del Parlamento, delle esondazioni dei Governi, delle leggi approvate e di quelle che non lo sono, delle eccessive cautele ovvero delle imprudenze dei garanti della Costituzione.

Non mi sembra ci sia passaggio politico rilevante che non sia stato valutato dai «costituzionalisti». Spesso criticando, a volte apprezzando, sempre con spirito libero. Ogni tanto con opinioni tra loro differenti, magari esprimendo giudizi diversi da quelle che si aspetta chi immagina che «quelli del no», siano solo dei «Signor no».

Feltri chiede ai costituzionalisti se è possibile votare una riforma che in assenza di una legge proporzionale è considerata dallo stesso Pd pericolosa per la democrazia. A questa domanda s’è già risposto non solo su questo giornale, ma anche nelle altre sedi pubbliche ove gli studiosi cui si rivolge il direttore dell’Huffington Post riflettono, parlano e, magari, si dividono: dalle audizioni in Parlamento (pubblicate sul sito dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti), ai centri di ricerca (vivace la discussione svolta al Centro di Riforma dello Stato), alle riviste specializzate (approfondite le analisi contenute nei fascicoli della rivista «Costituzionalismo.it»).

In tutti questi luoghi, da tempo, in molti hanno provato a sostenere che la riforma del Parlamento – necessaria vista lo stato di crisi in cui versa – non potesse essere ridotta ad una questione di numeri. Quanti sforzi – inutilmente profusi – sono stati fatti per richiamare l’attenzione sul necessario rapporto tra numero dei parlamentari e funzioni esercitate dalle Camere, sulla necessità di preoccuparsi sin d’ora della riscrittura dei regolamenti parlamentari causa non ultima della paralisi dell’attuale Parlamento. Quante volte infine si è sottolineato il collegamento tra “numero” dei rappresentati e «sistema» della rappresentanza (tradotto: del necessario collegamento tra riforme costituzionali e legge elettorale).

Ma in fondo basta avere un po’ di memoria storica. In molti in passato hanno richiesto la riduzione del numero dei parlamentari, non solo le contrastate riforme di Renzi e Berlusconi, anche progetti ben diversi, finalizzati al provvidenziale rilancio della centralità del Parlamento. Argomento utilizzato dai più a sostegno dell’attuale riduzione: quante volte ci si sente ripetere «perché ti opponi oggi, se eri a favore ieri?». In pochi però ricordano le polemiche sui sistemi elettorali maggioritari dei «costituzionalisti del No». C’è voluta la Consulta per ricordare che la democrazia parlamentare non può essere lasciata in balia di se stessa.

Ora si scopre con sconcerto che la legge elettorale è legge ordinaria, il che significa che «qualunque governo, di destra o di sinistra o ibrido, al prossimo giro potrà cambiare la Costituzione» e questa sarà di nuovo in pericolo. Se si fossero ascoltati i «costituzionalisti critici» (dizione ben più appropriata di «quelli del no»), si sarebbe da tempo compreso come la riforma costituzionale non può essere ridotta solo ad una questione di numeri dei parlamentari e che le garanzie istituzionali da pretendere (anche in sede di formazione dell’attuale governo) non potevano essere scritte sull’acqua, ma dovevano assicurare anche e soprattutto una copertura costituzionale del principio proporzionalistico per l’elezione dei rappresentanti.

Oggi qualcuno scopre che le revisioni della costituzione sono affare complesso, noi lo dicevamo da tempo. Il problema è allora che i «costituzionalisti» parlano da sempre, sono i «giornalisti» che non ascoltano più.