Una costante nella vicenda del ponte sullo Stretto di Messina è che il preminente interesse nazionale a realizzare l’opera – che in questi cinquanta anni non è stato mai dimostrato – sembra confondersi con l’interesse del General Contractor (GC), Eurolink (capeggiato da Webuild). Si vuole, insomma, realizzare il ponte a carico della collettività, qualsiasi sia la stima del suo costo economico-finanziario, sociale e ambientale.
È ESEMPLARE, A QUESTO RIGUARDO, quello che accadde nel 2009 con l’accordo transattivo stipulato dalle parti – la concessionaria pubblica Stretto di Messina SpA e il GC – con la rimodulazione del diritto di recesso e nuove condizioni, riguardanti gli indennizzi, non previste dal contratto originario del 2006 «a favore della parte privata» (come la sezione Centrale di Controllo della Corte dei Conti sulla gestione della amministrazioni dello Stato ha documentato – Deliberazione 17/2016/G). Cui seguì lo scandaloso paradosso che vide la Concessionaria – formata da ANAS. FS, Regioni Sicilia e Calabria – chiedere allo Stato, che indebolì la parte pubblica, un risarcimento di 300 milioni di euro, aprendo un conflitto che contrastava «con i principi di proporzionalità, razionalità e buon andamento dell’agire amministrativo» (sempre la Corte dei Conti).
Per non parlare di gran parte di quei 312 milioni che sono andati al GC dal 1981 al 2013 per studi e progettazioni inconcludenti e dei 26 milioni di euro che sono stati dati sempre ad Eurolink – incredibilmente non a RFI – per la realizzazione della variante ferroviaria di Cannitello (1,1 km) infrastruttura, completata nel 2012, propedeutica ad un’opera principale che ancora non è stata nemmeno progettata definitivamente.
SULLA BASE DELL’ATTO AGGIUNTIVO del 2009, appena citato, il GC Eurolink chiese 700 milioni di euro di indennizzi che gli sono stati però negati dal Tribunale delle Imprese con la sua sentenza del 2018 (Sentenza XVI Sezione Tribunale Civile di Roma n. 22386/2018) che ha rigettato la richiesta. E nel marzo 2013, di fronte al fatto che il GC non riuscì a produrre lo stralcio del progetto, gli elaborati tecnici e i piani economico-finanziari, accompagnati da un’analisi dell’intervento che attestasse la sostenibilità dell’investimento, richiesti con il decreto legge 179/2012, vennero meno la concessione di Stretto di Messina SpA e i relativi rapporti contrattuali.
NONOSTANTE QUESTE BATTUTE d’arresto, uno di primi atti del Governo in carica è stato quello di inserire nella Manovra 2023 (legge n. 197/2022), come se nulla fosse, il rilancio del ponte come opera di preminente interesse nazionale e la revoca dello stato di liquidazione della concessionaria pubblica Stretto di Messina SpA (ricapitalizzata con 50 milioni di euro). Mentre con il decreto-legge n. 35/2023 è stata definita una roadmap per il rilancio della concessione e del progetto definitivo del 2011-2012 del ponte sullo Stretto di Messina, elaborato dal General Contractor a cui il Governo ha deciso di affidare, senza gara (!), l’aggiornamento della progettazione definitiva, esecutiva e la realizzazione dell’opera. Nella Manovra approvata lo scorso dicembre (legge n. 213/2023) c’è poi l’impegno, dal 2024 al 2032, di 11,6 miliardi di euro – 1,6 miliardi stornati dai fondi FSC delle Regioni Sicilia e Calabria – per la realizzazione del ponte.
MA C’È QUALCOSA CHE NON TORNA sempre con riguardo ai costi. Nel Documento di Economia e Finanza dell’aprile del 2023 il costo era stimato in 14,6 miliardi di euro (13,5 per il ponte e 1,1 per i collegamenti ferroviari, mentre non sono calcolati quelli stradali), un delta del +20% rispetto agli 11,6 miliardi che, come abbiamo visto, sono previsti nella Manovra 2024 nel dicembre 2023. Il Servizio Bilancio del Senato nella sua Relazione n. 95 sul disegno di legge di bilancio 2024 dichiara di ritenere necessaria la «verifica circa la congruità delle risorse stanziate» per il ponte e segnala come la quantificazione finale dei costi non può che essere «demandata al futuro piano economico-finanziario della concessione».
NELLA STESSA RELAZIONE SI OSSERVA anche come, al momento, non siano calcolabili «gli oneri funzionali all’adeguamento del progetto esecutivo», derivanti dalla compatibilità ambientale e dalla localizzazione dell’opera.
C’E’ ANCHE DA AGGIUNGERE che se l’opera costasse 11,6 miliardi di euro sarebbe anche sindacabile l’affidamento diretto senza gara al GC. Infatti, l’art. 120 del Codice degli Appalti (D.Lgs. n. 36/2023) stabilisce che non si faccia una gara nel caso di contratti in corso di esecuzione (tutta da dimostrare nel caso specifico, dopo lo stop del 2013) se l’aumento del prezzo dell’opera non ecceda «il 50% del valore del contratto iniziale». Valore iniziale di 3,9 miliardi di euro, che consentì al GC di vedersi assegnare nel 2005 la gara per le progettazioni definitiva, esecutiva e la realizzazione del ponte.
IL PERCORSO A TAPPE FORZATE però continua – senza avere ancora un’idea precisa dei costi e senza un Piano Economico Finanziario che dimostri la redditività dell’opera – e il 14 di marzo è stata aperta una procedura di Valutazione di Impatto Ambientale che fa riferimento addirittura alla Legge Obiettivo (legge 443/2001), abrogata dal Codice Appalti 2016, grazie all’escamotage di considerare «sospeso» l’iter autorizzativo, interrotto nel 2013, mentre si dovrebbe ricominciare da capo essendo passati cinque anni dalla precedente parere (così stabilisce il Testo Unico Ambientale).
Invece si procede con la mera integrazione del progetto definitivo del 2011-2012 su cui la Commissione VIA del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica nel 2013 dettò ben 27 prescrizioni, 18 delle quali solo parzialmente ottemperate (tra cui gli aspetti geo-sismo-tettonici e idrogeologici) e 1 non ottemperata (relativa alla valutazione di incidenza sulle aree della Rete Natura 2000, tutelate dall’Europa).
SONO DECINE DI MIGLIAIA LE PAGINE che il pubblico interessato dovrà esaminare in 30 giorni (invece che i 60 ordinari), questo nonostante siano emerse delle carenze di fondo, note da tempo, che riguardano la stessa fattibilità del ponte. Il Comitato Scientifico della Stretto di Messina SpA il 29 gennaio scorso ha rilevato le criticità relative alla stessa tenuta del ponte a terremoti con Magnitudo superiore a 7.1 (per capirci nel 2023 il sisma che devastò la zona di confine tra Siria e Turchia, provocando più di 50 mila morti, fu di M. 7.8) e a venti turbolenti che possano incidere sulle rotazioni e le accelerazioni dell’impalcato.
TUTTO QUESTO SEMBRA NON SCALFIRE il Governo, e se non c’è da aspettarsi alcunché dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Salvini, invece dal Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Pichetto Fratin, ci si attenderebbe che difenda la terzietà del suo Ministero, quale autorità competente per la Valutazione di Impatto Ambientale sul progetto, e l’autonomia della Commissione VIA. Lo scorso 19 settembre 2023, senza che sia seguita sinora una smentita, il Ministro Pichetto Fratin ha parlato di un completamento della procedura VIA «che porterà entro la metà del 2024 a consentire l’avvio delle operazioni preliminari necessarie per la realizzazione dell’opera». Ancora una volta c’è il rischio concreto che l’interesse pubblico si confonda con le aspettative del General Contractor.
* Ufficio relazioni istituzionali Wwf Italia