Agli scienziati dei programmi spaziali di spedizioni su Marte, Werner Herzog si propone subito per partire. Lo fa senza esitazioni, mentre il suo interlocutore sorride divertito. E invece c’è da credergli perché l’immagine della sfida «assoluta» fonda la poetica del regista tedesco, le sue storie i cui protagonisti (pensiamo a Fitzcarraldo) incarnano l’epica di una impresa impossibile, la dimensione del suo fare cinema.
Lo and Behold: Reveries of the Connected World, il suo nuovo film – era al Sundance e sarà presentato al bolognese Biografilm Festival (10-20 giugno) risponde all’esigenza di esplorare il mondo al tempo di internet con le nostre vite che appaiono sempre più interconnesse e dipendenti dai social network. Lui internet lo usa raramente, ha un «limite biologico» nei confronti della navigazione web e Facebook o Twitter non lo riguardano. Ma certo il suo non è uno sguardo banalmente moralista o nostalgico.

 

 

 

 

Nei dieci capitoli che scandiscono Lo and Behold Herzog ne esplora infatti molteplici frammenti, possibilità, usi quotidiani, speculazioni filosofiche, meraviglia e mostruosità, rischi e scommesse. Il suo è un viaggio che allo stesso tempo attraversa il paesaggio americano cercando anche lì le tracce dei cambiamenti prodotti dalla tecnologia – città come Pittsburgh in cui i centri di progettazione delle intelligenze artificiali hanno preso il posto delle vecchie fabbriche. Attratto dai «giocatori» più spericolati – l’hacker che finisce un anno in cella di isolamento e quattro in galera per avere beffato l’Fbi – Herzog nel ruolo del narratore mescola umorismo, romanticismo, curiosità provando a immaginare insieme ai molti intervistati – scienziati, astronomi, analisti … – presente e futuro di internet a cui l’esistenza del mondo appare ormai indissolubilmente legata.«Se internet si spegnesse tutto collasserebbe» dice uno degli scienziati. Durante l’uragano Sandy, che ha lasciato New York senza elettricità, sembrava impossibile non essere connessi. Però è anche vero che la specie umana è sopravvissuta a prove spaventose.

 

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«I corridoi sembrano ripugnanti ma questo qui porta verso un santuario» ci dice la voce di Herzog all’inizio del film andando verso la stanza numero 3420 nella Boelter Hall dell’UCLA., il luogo dove è nato internet. Il professore di scienze computeristiche Leonard Kleinrock mostra una «scatola» rettangolare, dentro vi è racchiuso il primo messaggio online spedito (il 29 ottobre 1969, un ragazzo appena diplomato sperimentò la comunicazione host-to-host cominciando a scrivere «lo» – le due lettere di «login» – prima che il sistema andasse in crash).

 

 

Da lì Herzog attraversa una galassia, e la questione non è mai se internet è «bene» o «male» – anche quando le esperienze sono terribili come quella della famiglia che ha perduto la figlia in un incidente di auto. Trauma cranico avevano detto i medici con pudore se non che qualche anonimo ha messo in rete le foto della sua testa mozzata. Il padre, la madre, le altre sorelle biondissime, vestite di nero, gli occhi azzurri aperti sul vuoto non riescono a dire il loro dolore. Herzog decide non di mostrare nessuna immagine della ragazza. «Internet è l’inferno» dice la madre. Però via internet i giocatori di videogame più abili partecipano alle ricerche sulle malattie gravi offrendo possibili soluzioni». Dunque? Ci sono i ragazzini in rehab per dipendenza dai videogame, una di loro non ce la fa a parlare, ha paura di ricaderci. In Corea gli adolescenti mettono il pannolino per non interrompere il gioco.

 

 

E chi vive in uno spazio senza rete, come la comunità di persone che hanno sviluppato una sensibilità mortale alle onde elettromagnetiche. Non ci sono cellulari e internet, la sera cantano e suonano eppure quando una di loro parla di sé piange perché non è libera, ha dovuto rinunciare a tutto.
Davanti allo skyline di Chicago i monaci buddisti twittano: «Hanno smessio di pregare?» si chiede Herzog.

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Un ricercatore mostra orgoglioso la squadra di calcio di robot. Robot 8 è il campione di cui sono fieri, l’obiettivo è creare una squadra che sappia battere quella umana dei campioni del mondo. Alla domanda di Herzog se sono previsti i sentimenti nei robot uno degli scienziati risponde che non vorrebbe mai che la sua lavastoviglie si innamorasse del frigo smettendo così di lavare i piatti. Le machine devo lavorare o prendere il posto dell’uomo nelle situazioni a lui fuori controllo. Eppure. «Internet sogna se stesso» chiede il regista ai suoi interlocutori. Cioè la rete è ormai autonoma dall’uomo da mutare la concezione morale e sociale? L’orizzonte è aperto, quello della rete e quello del film.