Sono furiosi i coloni dell’avamposto di Amona. Rinnegano l’accordo fatto il mese scorso con il governo Netanyahu, dopo la sentenza della Corte suprema che prevede lo sgombero di questa colonia ebraica illegale anche per la legge israeliana, oltre che per quella internazionale, perché costruita senza permesso e su terreni privati palestinesi. Ai coloni di Amona, che si sentono parte di un disegno divino per la redenzione della biblica Terra di Israele, appare assurdo smantellare l’avamposto ora che non ci sono più pressioni americane e alla Casa Bianca c’è l’alleato di ferro Trump e i governi europei sono compiacenti verso l’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Hanno già ottenuto un rinvio dello sgombero. Dal 25 dicembre all’8 febbraio. Ora, con tono minaccioso, chiedono che Amona sia incluso nella Regulation Law in discussione alla Knesset che prevede la sanatoria per almeno 2.500 abitazioni costruite su terre private palestinesi.
Amona è solo un pugno di case e container su di una collina non lontana da Ramallah. La sua illegalità è stata riconosciuta con sentenza definitiva dalla Corte suprema. Per questa ragione è stato escluso dalla Regulation Law. Peraltro fa parte di un gruppo di avamposti creati, almeno in parte, con documenti falsi. A sostenerlo è stato l’anno scorso il giornalista investigativo Ravid Drucker. Nel servizio mandato in onda dalla tv Canale 10, Drucker spiegò che dietro all’edificazione di una quindicina di avamposti ebraici nella Cisgiordania occupata – tra i quali Migron, Ghivat Assaf, Ghivat Ulpana e, appunto, Amona – ci sono documenti falsificati. La polizia, aggiunse il giornalista, è rimasta inerte di fronte a irregolarità evidenti e a vendite fasulle da parte di proprietari palestinesi a cittadini israeliani. Una società dal nome arabo (al Watan) coinvolta in diverse transazioni è gestita in realtà da un colono «molto ben visto – rilevò Drucker – nell’ufficio del primo ministro».
Amona diventerà, con ogni probabilità, la trincea della resistenza dei coloni e di quella ampia porzione di destra, anche nel governo, che chiede di non dare alcun peso al diritto internazionale, alla recente risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e di chiudere nel cassetto anche la legalità israeliana, o almeno di adattarla alle esigenze della realizzazione del “disegno divino” che, sia ben chiaro, non garantisce diritti ai palestinesi. Resistenza che potrebbe non essere solo passiva, come le famiglie di Amona hanno già fatto vedere 11 anni fa quando il governo, per evacuare un pugno di case dell’avamposto, fu costretto a mobilitare centinaia di poliziotti e soldati. In quell’occasione ci furono decine di feriti e contusi. Nessuno però crede che si arriverà all’azione di forza.
Tutti i governi israeliani, dal 2000 in poi, hanno sistematicamente “dimenticato” di evacuare gli avamposti coloniali. A nulla è servita la denuncia, fatta nel lontano 2005, di Talia Sasson, ex dirigente del ministero della giustizia, autrice di un dettagliato rapporto sulle decine di avamposti creati dai coloni. Già 12 anni fa l’esperta comprese che non sarebbero mai stati toccati. Negli anni Novanta, aveva calcolato Sasson, il numero degli avamposti illegali era già di 105, in parte costruiti su terre private palestinesi beneficiando di ampia cooperazione da parte del ministero dell’edilizia, del dipartimento per gli insediamenti dell’Agenzia ebraica, dell’amministrazione civile nei Territori occupati e del ministero della difesa. La colonizzazione strisciante veniva in sostanza progettata dai coloni e finanziata a posteriori dal governo.
Difficile credere che proprio l’esecutivo guidato da Netanyahu, il più a destra della storia di Israele, possa andare allo scontro con i coloni. In ogni caso Avichai Boaron, capo del consiglio di Amona, è pronto a tutto. «Non abbiamo altra scelta se non quella di rinnovare la lotta per impedire la distruzione di Amona», ha proclamato ieri.