L’amore ha tutto il tempo. Questo doveva aver pensato John Lennon, quella fredda notte di dicembre quando Mark David Chapman gli esplose contro cinque colpi di pistola. L’ultimo autografo lo aveva firmato pochi minuti prima alla centralinista degli studi Record Plant. Diretto come sempre: Love, firmato John Lennon Yoko Ono 1980. A sinistra un piccolo disegnino dei suoi occhialini. E se le pallottole dello sconosciuto delle Hawaii, con il Giovane Holden stirato nelle tasche hanno fermato per sempre l’uomo, la Storia ha continuato a giocare a dadi con il giovane ribelle e «fottuto genio» venuto fuori dal suburbio di Liverpool.

Da quei dadi, a volte truccati, sono usciti tanti Lennon che hanno continuato a moltiplicarsi nel corso dei suoi 40 anni di vita, fedeli a se stessi ma mai uguali: chitarrista, cantante, epigono di Gene Vincent, ironico e affilato versificatore di non-sense, pop –star planetaria e battutista fulminante, intenso attore in fin dei conti di un solo regista (Richard Lester che gli regalò il ruolo del soldato pacifista in «Come ho vinto la guerra»), e ancora con un prima e un dopo Yoko, performer, artista totale e pacifista militante tanto popolare da essere ritenuto pericoloso e avere contro, una volta aperti gli archivi americani, tutta gli U.S. . Ma, John Lennon era soltanto questo o era altro? Una risposta definitiva non è possibile averla, grazie anche ai trenta e passa anni trascorsi da quel lontano 8 dicembre costantemente spolverati dai tanti fan sparsi nel mondo. Ciò che è però possibile è adoperare un bisturi di precisione nel tagliare la sua biografia e iscrivere in una prospettiva storica rovesciata i valori artistici “nostri contemporanei”.

Al di là delle canzoni ed è questo uno degli assunti principali dei curatori di All You Need Is Love. John Lennon artista, attore, performer, antologia visiva inaugurata alla Galleria Civica di Modena e aperta fino al 20 ottobre prossimo. La sottolineatura è fondamentale per comprendere e allo stesso tempo isolare l’autore di Imagine e Come Together dal protagonista di celebri happening e Bed-in. Il tutto pur restando consapevoli che alla fine Lennon era uno solo. Ma, altrettanto sagace è la limatura critica usata da Marco Pierini, Enzo Gentile e Antonio Taormina nel delineare gli ambiti curatoriali dell’esposizione che per la rapidità del colpo d’occhio proposto e la costruzione dell’allestimento, anche in funzione allargata al futuro della galleria, rigenera e non in senso «vintage» il gusto di un’epoca, ritenuta erroneamente ormai lontana e lasciata ai cascami propri di una critica non più in sintonia con il tempo e i nuovi media.

Qui si fa interessante il confronto serrato con le avanguardie e i movimenti culturali e artistici esplosi negli anni sessanta. Ad incarnare e vivo il sogno utopistico e performativo e in certo qual modo ad allontanarlo dal pianeta Beatles è l’arrivo nella sua vita di Yoko Ono, già celebre icona del movimento Fluxus. Siamo nel 1968, ed infatti, fino ad allora Lennon sia nei suoi libri non-sense (… In His Own Write e A Spaniard in The Works del biennio 64-65) sia negli album beatlesiani poggia la sua febbrile e incontrollata creatività su disordinate letture restando sostanzialmente un autodidatta.

Scomodare Joyce è troppo, l’ancoraggio è ancora tardo-ottocentesco con Edvard Lear. Il matrimonio con Yoko poi è lo spartiacque definitivo, l’oltre da cui non si può tornare indietro. La serie di litografie Bag One, servita alla mostra dalla collezione Giambelli, testimonia non solo il dono di nozze all’amata, ma anche l’indissolubilità della loro unione, licenziosa, protestaria, confidenziale e comunitaria con il mondo. Fu esposta una volta anche in Italia nel 1970 a Roma. Mai prima di allora una coppia sarà così popolare. La stessa Yoko lo introdurrà all’improvvisazione e alla performance artistica e collettiva, propria di Fluxus. Nella mostra non mancherà il cinema, quattro ore e mezza, raccolta di tutti i film dei due in cui l’underground si unisce all’home-movies e al diario più intimo. Meno sorprendenti sono i documenti fotografici dei Bed-in provenienti dalla collezione Bonotto, mentre commuove ancora lo scatto di Anne Leibowitz per la copertina di Rolling Stones che doveva celebrare l’uscita di Double Fantasy ed invece divenne il testamento visivo di uno dei più grandi geni artistici del ‘900.