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I cinema di Ciro

I cinema di Cirouna scena di "Too much Johnson" di Orson Welles (1938)

Too Much Ciro La chiusura e la demolizione delle sale a Roma, un accanito sopralluogo che non ha fine

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 1 maggio 2015

«Nel 1976 ho fondato il cineclub L’Officina insieme ad alcuni amici. Ho iniziato a occuparmi di sale chiuse quando, in uno dei primi mesi di vita de L’Officina, scese le scale del locale un signore molto anziano. Tornava dalla Russia dove si era trasferito dopo la promulgazione delle leggi razziali. Prima di lasciare l’Italia era stato operatore per i cinegiornali Luce ma era comunista. Mi disse che il suo caposervizio di allora gli aveva fatto filmare «per sfregio» la demolizione della sua casa in Piazza Montanara. E che lì vicino, da bambino, andava al cinema cercando sempre di entrare senza pagare. Poi aveva lasciato l’Italia e in Russia aveva fatto il proiezionista fino all’età della pensione. Appena tornato era andato a vedere quei luoghi, ma non aveva trovato più nulla. Così mi chiese di aiutarlo a «ritrovare» qualcosa di allora, quel piccolo cinema, qualche elemento della sua giovinezza e della sua spensieratezza. Non lo vidi più. Ma all’inizio degli anni ’90, scendendo con la mia vespa da piazza San Saturnino verso Corso Trieste, vidi che stavano demolendo il cinema Rex, una delle sale della mia vita. Avevo il cuore piccolissimo e una grande rabbia. Quella volta mi ricordai della promessa fatta a quel signore…».

Questo il prologo che ognuno ascoltava prima di essere arruolato nella missione di Ciro dentro e fuori i cinema di Roma, chiusi, abbandonati e trasformati. Oltre allo sguardo redentore su una città intera, fu il conto degli anni passati dall’inizio della ricerca a farmi innamorare e chiedergli di poterlo aiutare. Quasi 25. Dei quali 10 passati ad affrontare una malattia importante. Da una parte la sicurezza della conclusione imminente del progetto, dall’altra un elenco autogenerantesi di «piste» da seguire. Conferme di immortalità. Troppo appassionante per me tentare di arginare la corrente. Conobbi i vari componenti del bislacco gruppo che negli anni si era avvicendato. Cominciò Francesca, negli anni 90, inviata a riprendere saracinesche abbassate e insegne penzolanti, poi Valerio aveva arricchito il già folto elenco di cinema romani reperito da Ciro. «Sicuramente chiunque avesse una sala, l’avrebbe tenuta aperta a Natale!», così Ciro aveva consultato le pagine dei quotidiani nei giorni natalizi a partire dal 1896, mentre Valerio copiava a mano la guida Monaci fino al 1975. Nei ritagli di tempo ci si incontrava per una pizza, per un tè, un riso in bianco (dieta) o una gricia lasciata dall’infaticabile Silvia.

«Dice che il nostro elenco non è nulla paragonato al suo! Bluffa», scattavano i confronti con i ricercatori rivali, complotti sventati, e si apriva il dibattito. Di ognuno, come di ogni idea o materiale Ciro era allo stesso tempo entusiasta e diffidente, ascoltava e rilanciava. Altalenante era il suo umore di fronte alla mole di materiale, talvolta formidabile, ma poi poco bastava perché si rabbuiasse nel prendere coscienza che tutto era «già visto». Mancava ancora qualcosa… Roma protagonista, la Roma che Ciro aveva visto trasformarsi nei cinema, e che dei cinema si stava dolorosamente liberando. In garage la mitica mappa, surrogato di ubiquità, collage del Tutto Città, per poter vedere l’intera costellazione dei cinema presenti e passati. Anche un padiglione che aveva ospitato delle proiezioni solo per qualche giorno, nel 1911, assumeva un’importanza granitica perché… Probabilmente lì si erano incrociate delle vite e una per una meritavano che gli fosse restituito lo sguardo. I film, sempre, raccontati con gli occhi luminosi, ma prima l’incrocio degli sguardi nel buio. Il percorso iniziatico prevedeva la visione collettiva dei materiali raccolti da Ciro stesso: 4 ore di sequenze di film in cui si potevano riconoscere le sale romane (ricerca compiuta senza paura degli ostacoli produttivi), il repertorio dell’Istituto Luce, gli articoli dei giornali, i volantini, le locandine, i biglietti. Elisabetta, dopo aver inventato nuovi metodi tassonomici per riordinare la videoteca e la libreria di Ciro, si è avventurata nell’elenco delle «citazioni», titolo che racchiudeva i racconti delle incredibili azioni partigiane nei cinema romani, luoghi di concentramento e diffusione, il tragico episodio del cinema Quadraro, pagine da Pasolini, Moravia, Ingrao e Flaiano tra i tanti. Ma a queste Ciro aggiungeva le sue storie, fatte di appuntamenti con i cinema, di costruzioni di palinsesti impossibili da rincorrere nella città, esperienze che la memoria risognava ogni volta, lasciandoci con il sapore delle caramelle che davano di resto al cinema Cristallo.

La conversione delle sale al digitale provocò un cambiamento di rotta del progetto. L’idiosincrasia nei confronti del digitale, di cui Ciro temeva l’irreversibile soppressione dell’aura, divenne un’ossessione, fino a detestare il silenzio del proiettore digitale, a riconoscere la differenza del fascio di luce, a breve ne avrebbe distinto sicuramente anche l’odore. Ma il mondo digitale era per Ciro anche una fonte ricchissima per le sue ricerche. Oltre alle foto scattate dal fedele Valerio, e quelle ancora da scattare, c’erano quelle da recuperare negli archivi altrui. Entrò in gioco il gruppo facebook «i vecchi e i nuovi cinema di Roma», da cui si era infine fatto cacciare perché difendeva i cinema occupati. La ricerca della foto del Rex fu una pura azione di spionaggio, fuochi incrociati sotto mentite spoglie, su un’ignara discendente del custode dell’immagine. Daria e Alessandro arrivarono, discreti e puntuali; rappresentavano per Ciro l’intervento risolutore, lo sguardo produttivo. Si doveva spiccare il volo. In molti attraversarono il progetto, di molti non conosciamo neanche il nome. Quest’estate, dopo aver finalmente «sintetizzato» in 13 capitoli la valanga di materiale (che comprendevano ancora 30/40 film «indispensabili»), mi accorsi che questi primi accenni di «forma» lo stavano preoccupando. Accumulare, lasciare aperto senza irrigidire in percorsi, perché fermare una tale bellezza in una selezione? Proposi a Ciro di provare a ritrovare il motivo profondo di quell’amore e seguirlo. L’offesa per l’abbattimento del Rex era un’offesa universale e antica. La protesta inguaribile. La fine del mondo dell’infanzia e della giovinezza, quando una mamma ti porta al cinema/la bocca della balena senza avere paura del buio, quando una fidanzata guarda te invece del film. «Uscito da Lotta Continua, ho aperto l’Officina», mi disse una volta. Non ne parlammo più; poco dopo Ciro subì il distacco della retina e non riacquistò mai del tutto la vista. Ci siamo incontrati poco, concentrandoci sulle istruzioni della 16mm. Io leggevo, lui ascoltava e eseguiva i gesti toccando la macchina. Aspettavamo la primavera per girare (o forse voleva ricordarci che bisognava girare in pellicola). Negli ultimi giorni stava iniziando il film. Mi parlava di un’immagine definitiva, la prima, l’aveva trovata: una stampa di Pinelli che rappresentava una fiera ottocentesca, dove un banditore invitava a vedere nella lanterna magica «il nuovo mondo». (Rosabella?)

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