Una vita senza orari, a inseguire le notizie. Quando sei una free lance come Yara Nardi, la bravissima fotoreporter autrice dello scatto simbolo del corteo di sabato scorso, la precarietà diventa la lente con cui guardi il mondo. «Progetti? Non ci pensi nemmeno». Romana ma con sangue misto nelle vene, «più libanese che italiana», 28 anni e un istinto da vendere, Yara è precaria da quando ha fatto della fotografia il suo lavoro. E in quel frame che è ormai l’icona di una generazione senza diritti e calpestata, c’è un po’ anche della sua storia personale.

Yara, come hai colto quello scatto?

 

Un colpo di fortuna. Era un momento concitato, adrenalinico, dopo l’ultima carica della polizia. Ero su Piazza Barberini, all’imbocco di via del Tritone, con i manifestanti che scappavano e le forze dell’ordine che caricavano da diversi punti. È lì che ho visto questi due ragazzi a terra in mezzo alle gambe di un poliziotto. D’istinto mi sono accucciata e ho scattato.

 

Dici che non ti è piaciuto come è stata usata e commentata da certi media, perché?

 

Perché ci hanno costruito sopra una storia romanzata, e soprattutto perché è stata usata come simbolo della rottura tra manifestanti buoni e cattivi. Questo non lo accetto. Capisco che l’estetica della foto colpisce molto ma in realtà scene di questo tipo, durante le manifestazioni, accadono spesso. Ci si aiuta a vicenda, se c’è una carica della polizia. Ecco perché non accetto che si usi la tenerezza suscitata dallo scatto come scorciatoia giornalistica per dividere i buoni dai cattivi.

 

L’agente che hai immortalato nell’atto di calpestare la manifestante dice che non lo ha fatto apposta…

 

Mi sembra impossibile che non se ne sia accorto. Più che dalle mie foto, si vede molto bene dai video. E comunque, proprio perché può essere un episodio, penso che in un Paese civile bisogna assolutamente avere i codici identificativi per gli agenti.

 

Parliamo di te: fai parte del cosiddetto popolo delle partite Iva…

 

Finte… Sono una free lance malgrado abbia accordi di lavoro con alcuni quotidiani. Vengo pagata con una quota fissa mensile indipendentemente dal numero di foto che fornisco. Quindi non sono diventata ricca, con questo scatto. Però ho scoperto che la foto non è stata solo usata dal giornale con cui collaboro: è comparsa anche durante la trasmissione televisiva «Che tempo che fa» senza che io ne sapessi nulla.

 

Non ci sono i diritti d’autore?

 

Sì, ma evidentemente Fazio e Gramellini non li prendono in considerazione. Oltretutto è stato molto fastidioso che siano riusciti a parlare di due foto, erigendole a simbolo della giornata, senza mai citare l’autore. Hanno fantasticato poi sul legame tra i due ragazzi, senza preoccuparsi del legame tra quei due giovani e il resto dei manifestanti. Questo non vuol dire fare cronaca ma soap opera.