Secondo uno studio realizzato dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e delle università di Cardiff e di Zurigo, l’attività vulcanica dei Campi Flegrei mostra le stesse caratteristiche di quelle che precedettero le eruzioni più catastrofiche del passato. Lo studio, appena pubblicato sulla rivista «Science Advances», non lancia però un allarme immediato: prevedere l’evoluzione futura è impossibile e prima di un’eruzione del genere potrebbero trascorrere ancora migliaia di anni. In ogni caso l’area è tenuta sotto stretto controllo. Dal 2012, il livello di allerta è salito da «verde» a «giallo» (poi ci sono l’«arancione» e il «rosso») e da allora non ci sono novità sostanziali, anche se proprio negli ultimi mesi il bradisismo è tornato.
Sul lungo periodo l’area dei Campi Flegrei rimane una delle zone vulcaniche a maggior rischio. Circa un milione e mezzo di persone vivono nella zona detta «caldera», la cui storia geologica è segnata da grandi eruzioni spesso catastrofiche. In quelle avvenute trentanovemila e quindicimila anni fa, dalle profondità del terreno emersero quantità di magma così grandi che le cavità in cui erano prima contenute si svuotarono e crollarono sotto il peso delle rocce sovrastanti. In entrambi i casi, il suolo sprofondò di oltre seicento metri. Sono le maggiori eruzioni mai avvenute in Europa.
Studiando la complessa stratigrafia della zona, gli scienziati hanno evidenziato come certi parametri fisici del magma, come la sua temperatura e il contenuto di acqua, negli ultimi sessantamila anni hanno attraversato vari cicli, culminati ogni volta nelle eruzioni.
La situazione attuale è simile a quella che caratterizza la fine di tali cicli. Secondo gli scienziati, in un futuro ancora impossibile da prevedere la zona dei Campi Flegrei subirà di nuovo lo «sprofondamento» e darà vita a una nuova caldera.