Alla rabbiosa propaganda islamista non bastava lo scempio delle inestimabili ricchezze di Nimrud. E così ieri i bulldozer del califfo hanno colpito di nuovo: a finire in macerie è stata l’antica città di Hatra, nell’Iraq del nord, nella provincia di Ninawa. Patrimonio dell’Unesco, era stata fondata nel II-III secolo a.C. dai Seleucidi, dinastia ellenica, poi passata nelle mani dei Parti e testimone delle civiltà babilonese e assira. A darne notizia è stato il Partito Democratico Kurdo: «I miliziani hanno distrutto con i bulldozer Hatra e rubato monete d’oro e d’argento», ha fatto sapere il portavoce Saed Mumuzini.

Di nuovo sotto la scure dell’Isis cade la storia della Mesopotamia, di quel pre-Islam considerato da al-Baghdadi simbolo di apostasia e paganesimo. Per ora non è possibile quantificare i danni, spiega il Ministero del Turismo di Baghdad. Di certo ci sono i racconti dei locali che riportano di potenti esplosioni udite nei pressi del sito archeologico.

Hatra, a 110 km da Mosul, si trova nel cuore della provincia di Ninawa, la prima a cadere sotto il controllo dell’Isis lo scorso giugno. E mentre il segretario di Stato Usa Kerry fa appello alle parti (quali?) perché preservino l’eredità di Iraq e Siria, Baghdad punta il dito proprio contro la coalizione, colpevole secondo il governo di una lentezza nell’azione che facilita l’avanzata dell’Isis: «Il ritardo nel fornire supporto internazionale all’Iraq ha incoraggiato i terroristi a commettere un altro crimine, a rubare e demolire Hatra», ha scritto in un comunicato il Ministero dell’Antichità.

Uno screzio che segue a quello di pochi giorni fa: l’esercito iracheno ha lanciato un’ampia controffensiva per riprendere Tikrit, senza alcun sostegno da parte della coalizione. Ieri i caccia occidentali hanno colpito 11 volte postazioni islamiste in Siria e Iraq, ma Tikrit è rimasta al palo. Il generale Dempsey, capo di Stato maggiore Usa, ha giustificato l’assordante assenza con i numeri: 23mila soldati iracheni e miliziani sciiti e sunniti bastano per riprendere una città occupata «da qualche centinaia di islamisti».

Dove non vogliono arrivare gli Stati uniti a muoversi sono i paesi arabi. Che condividono con la Casa Bianca una preoccupazione: se Washington ha giustificato il non intervento con l’eccessiva presenza iraniana sul campo di battaglia di Tiktit (i pasdaran sono in prima linea, guidati dal generale Suleimani), la Turchia intende agire proprio per bilanciarla. Da alcuni giorni si accavallano voci che vorrebbero Ankara impegnata nella creazione di una milizia sunnita da dispiegare nell’eventuale battaglia per Mosul.

I vertici turchi negano: il premier Davutoglu ha smentito la notizia, data da funzionari governativi e ribadita da Baghdad. Secondo il primo ministro, la presunta milizia sunnita non esiste e non esisterà. Diversa la versione del governatore di Ninawa, Athil al-Nujaifi: «La Turchia parteciperà militarmente alla controffensiva su Mosul per creare con i paesi del Golfo una forza simile alle unità di mobilitazione sciite» gestite da Teheran. Si tratterebbe di 20mila soldati schierati da Turchia e Giordania, ha aggiunto il parlamentare iracheno Saad al-Matlabi, membro di State of Law, il partito del premier.

Una possibilità che Baghdad non approva perché, sottolinea al-Matlabi, la Turchia ha sostenuto il terrorismo e non può quindi prendere parte ad un’operazione che intende sradicare quello ha aiutato a generare. Che Riyadh e Ankara siano fortemente preoccupate dall’ampia presenza dell’Iran, primo paese a fornire armi ai peshmerga e a inviare unità militari sul terreno, non è una novità: il principe Saud al-Faisal, ministro degli Esteri saudita, ha ribadito l’intenzione di intervenire durante l’incontro con Kerry giovedì scorso. L’Iraq sta finendo nelle mani dell’Iran. Inaccettabile per l’asse sunnita.

A godere di tante divisioni è il califfato che avanza quasi indisturbato: ieri ha lanciato un nuovo assalto contro Tel Tamr, nord della Siria, nella provincia di Hasakeh, in parte controllata dalle forze di resistenza kurde. L’attacco arriva a pochi giorni dalla riconquista kurda della comunità assira cristiana, strategico punto di passaggio verso l’Iraq.