Attivista di Sport alla Rovescia Ivan Compasso, detto “Grozny” ha visitato il Brasile per alcuni mesi, ha filmato e incontrato realtà sportive in lotta realizzando Brasils, quattro puntate trasmesse in streaming (www.sportallarovescia.it). Ci racconta in questa intervista un punto di vista diverso sui mondiali di calcio.

  • Quale realtà sportiva hai trovato in Brasile?

La pratica sportiva è parte integrante della vita di un brasiliano, è uno dei pochi aspetti davvero comuni che unisce luoghi distanti tra loro. E’ difficile pensare a sport che qui non abbiano fortuna, da quelli tradizionali alle nuove discipline, dall’attività fisica in palestra a quelle in ambiente naturale, perfino il rugby fa proseliti. Si possono incontrare ragazzini che si buttano dalle ripide discese della foresta di Tijuca a Rio su tavole con ruote costruite da loro, gente che pratica la palestra all’aperto, in ogni città sono tantissimi gli spazi pubblici dove fare sport. Nel Cearà ho visto ragazzini sciare sulle dune di sabbia. Nelle città di mare è uno spettacolo assistere a infinite partite di calcio tennis, di calcio a 5, a 7 o a 11 giocato sulla sabbia dalla famosa Copacaban a Praia do Futuro a Fortaleza fino alle spiagge bahiane di Trancoso e di Caraiva. La gente è molto ricettiva quando si parla di sport, hanno sempre voglia di provare qualcosa di nuovo, però resta soprattutto la patria del fùtebol.

• Allora perché sono esplose le proteste contro i mondiali di calcio?

Il calcio è una religione, ma oggi conta di più la sopravvivenza e il benessere della propria famiglia. E poi, intendiamoci, qui la gente non è scesa in strada per fame. Si pensa sempre che tutto sia cominciato con la Concaf a giugno, con la storia del rincaro dei biglietti, invece erano diversi mesi che i brasiliani avevano cominciato a farsi sentire, a Porto Alegre già dall’ottobre del 2012. I brasiliani una volta ottenuta la democrazia, vogliono le loro libertà compiute, non dimentichiamo che parliamo di un Paese dove l’ordine pubblico è gestito ancora dalla polizia militare. I brasiliani hanno capito che non ci sarà una ricaduta economica per loro, i continui scandali che hanno coinvolto politici di ogni colore, il tentativo degli stessi di farsi una legge che garantiva loro l’impunità hanno fatto il resto. Organizzare eventi come i mondiali e le olimpiadi significa consegnarsi nelle mani di Fifa e del Cio. I brasiliani avrebbero maggiormente apprezzato che si investisse su istruzione, ospedali e strade invece che negli stadi, inoltre state sgomberate molte aree.

• Per quale motivo la polizia non consentiva ai cortei di protesta di arrivare davanti agli stadi?

Le aree attorno allo stadio sono state date in concessione alla FIFA. Una formula per dire che il Paese che ospita tali eventi deve garantire che solo le persone autorizzate e quelle che hanno stipulato un contratto con gli organizzatori, ossia coloro che hanno acquistato il biglietto per la partita, possono avere accesso a quell’area. Così la polizia è intervenuta duramente per tenere lontano chi protestava. Cosa che peraltro fa spesso, con la differenza che durante la Concaf sono stati visti da tutto il mondo. A tal proposito va detto che non solo i manifestanti non possono avvicinarsi agli impianti, ma tutte quelle persone che grazie allo stadio sopravvivevano come i venditori di birre e salsicce.

• Dopo le manifestazioni di giugno sono sorte altre forme di resistenza?

La più significativa è quella di Vila Autodromo, Rio de Janerio. Situata tra la foresta e la barra di Tijuca, si trova esattamente nel luogo prescelto per costruire il villaggio olimpico, le piscine, i campi da tennis e una serie di altre strutture per i Giochi del 2016. Gli abitanti della comunità Vila Autodromo rischiavano lo sgombero, ma forti di una esperienza di lotta di una dozzina di anni fa contro un colosso francese degli ipermercati, si sono fatti coraggio e hanno sfidato Cabral l’odiato prefetto della città, il CIO e le grandi multinazionali impegnate in questa opera. Un tribunale di Rio di fronte alla loro proposta alternativa di piano regolatore di quell’area, rispetto a quella imposta dalle autorità, ha dato loro ragione. Risultato, cantieri fermi e ritardi nei programmi degli organizzatori. L’impasse è durata fino a quando una fondazione della Deutsche Bank ha premiato la comunità di Vila Autodrmo per il miglior progetto al mondo nel rapporto tra sviluppo e qualità della vita degli abitanti, perciò i lavori sono stati sbloccati, ma non a scapito della comunità, che non solo non sarà sgomberata ma ha ottenuto dei miglioramenti del piano urbanistico. I politici e i militare non sono riusciti nell’intento di intimorire la comunità. Il paradosso è che si è dovuta scomodare la più importante banca tedesca per sbloccare una situazione che di fatto impediva proprio a una azienda tedesca di portare a termine l’opera di costruzione degli impianti olimpici. Sono i miracoli del capitalismo globale.

• Tutti i bambini brasiliani pongono le speranze future nel calcio. Hai visitato le scuole calcio e i campi nelle favelas?

Si gioca ovunque, dove c’è una comunità c’è un campo, ci sono molte associazioni che fanno praticare sport ai bambini. In ogni favelas ci sono campi di calcio, e spesso anche le tribune. In Brasile i bambini hanno un solo sogno: diventare calciatori. Ho visto diverse scuole calcio, quella del Santos è ben organizzata. Ma stiamo parlando di una “fabriqua des craques”, un “calciatorificio” dove il calcio quasi mai è un divertimento, ma sempre più un impegno, spesso un dovere imposto. Quando assisti agli allenamenti delle quattro squadre ragazzi del Santos sotto i dieci anni, ti rendi conto che i più fortunati ricevono cifre rilevanti. I soldi vengono dati alle loro famiglie, che possono occuparsi del figlio senza lavorare, questo cambia il rapporto tra il minore e la pratica sportiva, anche se i dirigenti locali mi hanno detto che se non diventano campioni possono sempre restare nello sport come allenatori, preparatori o dirigenti.

  • Gli osservatori internazionali sono preoccupati per il ritardo nella costruzione degli stadi. Hai visitato quello dove giocherà l’Italia?

Visti i ritardi ora si corre, gli stadi cantiere sono delle fortezze inavvicinabili, ma se si aspetta il cambio turno e si fanno due chiacchiere con chi ci lavora, se ne sentono di storie. Ne ho visti tanti, lo scopo era di visitare questi grandi cantieri e capire quale impatto hanno sui luoghi dove vengono costruiti. Non dimentichiamo che non ci sono solo gli stadi mondiali, ma è tutto il sistema degli impianti dei grandi club che viene rivisto. Il Maracanà è sempre bellissimo, ma è così perfetto da apparire freddo. L’Arena Fonte Nova di Salvador è anche un bello stadio, ma cosa se ne faranno di un impianto da 51 mila posti costato quattro volte la cifra di partenza? Anche quello di Fortaleza è troppo grande per le esigenze del luogo. A Sao Paulo ci sono tanti cantieri, ma lo stadio del Corinthians, che ospiterà diverse gare non solo non è pronto ma è entrato nelle cronache per l’incidente che ha visto morire due persone per il crollo di una gru.

I prezzi dei biglietti sono già triplicati e il modello che si insegue è ovviamente è quello britannico. La conseguenza è che durante il Brasilerao gli stadi sono sempre più vuoti, e in mano a pochi sponsor che impongono l’esclusiva dei loro prodotti da vendere in loco, sono tutte grandi aziende multinazionali. L’Italia giocherà un match a Manaus, dove la costruzione dello stadio è in ritardo e sono morti degli operai, uno schiacciato, un altro d’infarto per il troppo caldo. Stiamo parlando dell’Amazzonia, dove c’è un clima molto particolare.

  • I brasiliani temono la nazionale italiana di calcio?

Più che temere sanno che arriva sempre in fondo, la rispettano. Non amano molto il nostro calcio ma non la sottovalutano. Una cosa strana del rapporto Brasile Italia è che la maglietta di club più diffusa è quella dell’Inter, che però schiera pochi italiani, ma se si chiede chi è il nostro calciatore più forte tutti dicono: Francesco Totti.